Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro

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domenica 10 marzo 2013

RIFORMA DEL LAVORO POST ELEZIONI (ARTICOLO SCONSIGLIATO PER I SOGGETTI IMPRESSIONABILI)

Come noto, non è emerso un vero vincitore dalle elezioni italiane. Là dove, su specifici temi, tra uno schieramento e l'altro ,vi erano sensibili differenze, ciò dovrebbe essere di conforto per chi temeva, trattandosi di rimedi tutti peggiori del male, che un punto di vista avesse prevalso sull'altro. Un esempio è quello delle politiche del lavoro. Chi avreste buttato giù dalla torre tra i Ministri del Lavoro in pectore, ognuno di un diverso schieramento? Ossia tra Sacconi/Cazzola, Ichino/Fornero, Dell'Aringa/Damiano/Vendola, x/y (grillini)? Poiché siamo contro le soluzioni violente avremmo preferito buttarci noi, per non spargere sangue altrui. Ma il bello è ora che per arrivare a un compromesso è possibile che un dato schieramento, pur di non perdere il governo, sia disposto ad adottare le tesi lavoristiche dell'altro schieramento. Facile, se si pensa che si tratta di soluzioni inadeguate, irrealizzabili o fallimentari. Diciamo che anni di esperienza , anche recente, ci hanno sicuramente indicato cosa non fare. E' implicito che la verità sia in comportamenti differenti. Quali?Adesso non chiedeteci troppo. Anche perchè nelle politiche del lavoro si potrà fare qualcosa di valido a condizione che già si siano fatte altre cose, apparentemente distanti dall'ambito di competenza del Ministero di Via Flavia. Primo criterio: mandiamo in vacanza (una volta si parlava di anno sabbatico) tutti i giuslavoristi italiani (che non hanno scuse perchè o hanno fatto i ministri o ne erano i bracci destri). Facciamo a meno di loro in quanto i risultati raggiunti dalle riforme tentate dagli anni novanta ad oggi ci hanno dimostrato che questi scienziati ancora hanno tanto da studiare (soprattutto la realtà del mondo del lavoro) e in queste condizioni fanno solo danni. Se gli ingegneri si dimostrano incapaci forse sarà il momento di dare un po' di spazio ai geometri: non si sa mai che riescano ad indovinarci. Poi: evitiamo di creare nuovi equilibri, tra una forma e l'altra di lavoro, operando sulla dialettica più costi/meno costi, svantaggi/vantaggi. E' il mercato del lavoro (di solito più veloce di chiunque altro) a stabilire, a posteriori la validità dell'una o dell'altra soluzione. In genere quella che vince è la soluzione più semplice, meno burocratica e meno foriera di tasse variamente travestite. Ecco, questo crediamo potrà essere il vero merito storico della riforma Fornero: costituire in un certo senso la Bibbia di tutto quello che non va fatto sul lavoro, un gigantesco ed insuperabile esempio in negativo che in quanto tale è perfetto come un opera d'arte e sarà studiato dai posteri. Chiedere ai consulenti del lavoro per averne conferma. Altra cosa da non fare: attribuire valore al lavoro stabile e disvalore al lavoro non stabile. Abbiamo già detto più volte che vanno considerate con il massimo rispetto le esigenze di chi ha o ha avuto il posto fisso e si aspetta di mantenerlo fino ad una pensione che sia più dignitosa di adesso così come di coloro che sono in debito con la società (pensiamo ai precari della scuola) per aver fatto parte, loro malgrado, di una umanità sfortunata in cui sono stati illusi da un miraggio, quello appunto, del posto fisso. Queste fasce di popolazione non vanno punite ma accompagnate verso un miglioramento, graduale , della loro condizione. Sarà difficile (sappiamo quale peso abbia il debito pubblico) ma va fatto innanzitutto per un principio di dignità. Ma arriverà il momento (e su questo dobbiamo deciderci a voltare pagina) che nella società italiana non esistano più i termini “posto fisso” e “lavoro precario” così come oggi intesi. Quella è la direzione verso cui andare, certo, gradualmente. Un lavoratore quindi che abbia sempre una fonte di reddito anche nei periodi di passaggio, la possibilità di cambiare serenamente il lavoro più volte nella sua vita, di fare carriera, di formarsi, di migliorare. Sia nel pubblico che nel privato. E questo, in un prossimo futuro dovrà valere per tutti. Perchè l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sul posto di lavoro. Parimenti non dovrà esistere più di fatto il concetto di precario sinonimo di ricattato, malpagato e sfruttato e senza prospettive di serena esistenza. Su questa, che è innanzitutto una battaglia culturale, constatiamo che nessuno è impegnato seriamente. Male, poiché significa che si stanno difendendo rendite di posizione o si sta sfruttando la disperazione delle fasce più marginali del mondo del lavoro. Di solito per guadagnarci sopra . E, soprattutto ora, per fini elettorali. Analoga apertura mentale è ora sia adottata sulla questione pensioni. Qui notiamo passi in avanti rispetto alle appena ricordate contraddizioni relative ai lavoratori attivi. Si è giustamente seguita l'indicazione di rapportare l'età pensionabile alla aspettativa di vita. Ancora non si è fatto nulla (anzi si è registrato un peggioramento) nel comprendere che l'attuale meccanismo non va più bene (e sarà sempre peggio) per poter assicurare un livello di vita sufficiente ad ogni singolo pensionato. Anche qui paghiamo l'eccessivo credito dato in questi decenni agli scienziati pazzi. Ma prima o poi la situazione esploderà e come accade occorrerà mettersi a correre per evitare di sprofondare nella voragine e per fare in pochi secondi quel che ci si è rifiutati di fare per anni. Non è questa la sede per trattare col giusto approfondimento temi così delicati ma , intuitivamente, chi volesse mettersi seriamente a studiare per sciogliere questo nodo non potrebbe prescindere dall'affrontare alcuni tabù che prima o poi verranno infranti. Il primo è quello dei cosiddetti diritti acquisiti. E' la giustificazione oggi più forte alle peggiori schifezze tuttora presenti nella giungla pensionistica. E, temiamo, sia una giustificazione strumentale, interessata e non più tollerabile. Così come avviene per esigenze di ordine pubblico, è bene si cominci a pensare a leggi eccezionali anche per abbattere privilegi pensionistici non più sopportabili per la gran massa della popolazione. Dobbiamo deciderci cioè se questo paese lo vogliamo salvare o no. Poi, collegato a quanto appena detto e alla vicenda esodati , forse è arrivato il momento di pensare di trovare dei rimedi per cui anche chi ha maturato il diritto alla pensione possa se lo vuole e non rimettendoci tornare nel mondo del lavoro regolare (e non solo di quello nero come oggi accade). Ripetiamo, possono apparire affermazioni scandalose e dissacratorie, ma sarà ciò di cui si parlerà quando si accorgeranno che non ci sono più soldi per venire incontro a tutti gli esodati. Non date retta a chi vende analisi interessatamente confuse: non esiste concorrenza tra vecchi e giovani, non esiste mancanza di lavoro indotta dalla crisi . La realtà vera è che la concorrenza c'è tra chi ha voglia di lavorare e mettersi in gioco e chi ha un atteggiamento passivo. E che la crisi di lavoro è la crisi di creazione di posti fissi. Chi conosce la realtà sa che è così e il rifiuto dei partiti e dei sindacati di accettare questa verità deriva dal fatto che questo meccanismo, se liberato, provocherebbe l'inutilità della macchina burocratica, dei posti assegnati in maniera clientelare, dell'assistenzialismo e del parassitismo (politico e sindacale). Altro tabù da abbattere sarà quello delle retribuzioni. L'art. 36 della costituzione è inadeguato e irrealistico. Così come l'apparato dei CCNL. Occorre, siamo in emergenza, che venga posto un tetto alle retribuzioni massime e vengano innalzate quelle minime ossia i salari e gli stipendi dei lavoratori e le pensioni degli anziani. E che venga assicurato un reddito minimo a chi momentaneamente non lavora. Dove si trovano i soldi? Basterà fare un gigantesco sondaggio in rete a costo zero perchè i riflettori si accendano su situazioni di privilegio e spreco di cui giornali e TV spesso non parlano. Basta volerlo. Da ultimo , un consiglio: non fidatevi di economisti e giuslavoristi falliti, personaggi tragicomici che o portano sfiga o fanno la figura patetica di meteorologi che non azzeccano mai il tempo che farà. Noterete che in questi giorni scrivono a iosa bocciando alcune proposte innovative che finalmente hanno avuto una consacrazione elettorale. I poverini non hanno capito che l'adozione del “ceteris paribus” nel calcolare gli effetti di ipotizzate novità è inadeguata all'esigenza di porre mano a situazioni nelle quali diversi fattori devono cambiare contemporaneamente. Questi signori non sono altro che i catastrofisti del giorno dopo, quelli chiamati a rimediare al fallimento dei menagrami e delle cassandre del giorno prima che non sono stati sufficientemente bravi nel mantenere la dote di consenso elettorale ai partiti che gli assicurano lo stipendio.