Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro

Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro
(confederazione sindacale dei lavoratori) codice fiscale: 97624870156; atto costitutivo (e statuto) registrato presso l'Agenzia delle Entrate, DP I MILANO-UT di Milano 1, in data 04/06/2012, serie 3, n.7107- sede naz.le:Via Antonio Fogazzaro 1, sc.sin. 3° piano, 20135 Milano, tel.3349091761, fax +39/1782736932, Whatsapp 3455242051, e-mail agl.alleanzageneraledellavoro@gmail.com ; e-mail certificata: alleanzageneraledellavoro@pec.it

domenica 24 febbraio 2013

PRECARI SCUOLA: 300 MILA CAUSE?

Un docente precario di educazione fisica e di sostegno ha fatto causa al MIUR per mancata stabilizzazione e ha ottenuto dal giudice del lavoro di Trapani un risarcimento di più di 150 mila euro.
Il giudice ha tenuto conto dei recenti orientamenti della giurisprudenza e delle norme nazionali e comunitarie a tutela dei lavoratori e riconosciuto all'insegnante i danni subiti per lucro cessante e danno emergente causati dalla mancata stabilizzazione. E per i possibili mancati contratti.La domanda è: visto l'elevato tasso di complicità dei sindacati rappresentativi con le gerarchie ministeriali questa notizia verrà adeguatamente diffusa? E si faranno avanti sindacati disposti ad organizzare e coordinare la possibilità che 300.000 precari possano essere dal futuro governo stabilizzati o risarciti? E eventuali sentenze favorevoli saranno eseguibili o verranno riversate su noi contribuenti con una ulteriore mazzata fiscale?
Per quanto ci compete, rileviamo solo che ha inciso più, sulla questione, una sentenza della magistratura che l'azione di anni di sindacati forti e rappresentativi solo sulla carta che non hanno saputo fare, come forze sociali, il loro dovere. Se i lavoratori, nel Pubblico Impiego, vorranno ottenere qualcosa e presto dovranno evidentemente affidarsi a Sindacati non compromessi con la Politica e con l'Alta Dirigenza e che puntino più al sodo.Non sempre ci sarà un Giudice a Berlino...

REDDITOMETRO BOCCIATO: EVVIVA IL PENSIONATO DI POZZUOLI!

Non c'erano riusciti sindacati più o meno rappresentativi a mettere in crisi, su vari temi,esterni e interni, il Dott. Befera e l'Agenzia delle Entrate. L'impresa è riuscita a un pensionato di Pozzuoli (NA) . Il 4 gennaio è partito il redditometro ma il viaggio è durato poco. Un pensionato di Pozzuoli ha fatto causa al Fisco per tutela della Privacy e un giudice del Tribunale di Napoli gli ha dato ragione, vietando il redditometro.Motivo: porta alla soppressione del diritto del contribuente e della sua famiglia a una vita privata.Il giudice inoltre articola una interessante illustrazione delle incongruità dello strumento che non considera le differenze nel costo della vita tra i territori, rischiando di identificare come eccessivamente alto rispetto al reddito un determinato tenore di vita. Ovviamente l'Agenzia delle Entrate ricorrerà, il nuovo governo probabilmente metterà mano allo strumento per calibrarlo meglio, quello che ci domandiamo solamente è: le nove banche dati a cui attingerebbe l'Agenzia delle Entrate , costate al contribuente miliardi e che certo non hanno indotto risparmi , non sarebbe meglio fossero unificate e indirizzate a incrociare meglio i dati degli italiani che non siano (una volta tanto) dipendenti o pensionati? In attesa che la giustizia migliori e che la macchina fiscale venga semplificata, razionalizzata e meglio indirizzata, prendiamo atto che si tratta di un gran giorno per la Libertà e dell'ennesima debacle della P.A. In una delle sue versioni considerate più d'avanguardia (non ci si dica infatti che la colpa sia solo di Monti e Grilli) . Dieci, Cento, Mille Pensionati di Pozzuoli!

ROTTAMAZIONE ANCHE NEI SINDACATI?

E' apprezzabile che anche in una fase così critica per il mantenimento del buon senso, come può essere quella degli ultimi giorni di campagna elettorale, si sia impertubabilmente riusciti a continuare il dibattito sulla riforma del mercato del lavoro. Tutti hanno la loro ipotetica soluzione a valere per il periodo che, a loro dire, ci separa dalla fine della crisi e dalla ripresa, alla faccia di chi pensava finalmente arrivata la fine del capitalismo. Quando si dice avere la capacità di guardare nel medio-lungo... E' lecito però porsi un dilemma, affrontato, per altri versi, di recente, nel dibattito pre elettorale interno ai due maggiori schieramenti politici: quello della necessità di una rottamazione della vecchia classe politica, non solo di governo ma anche interna ai partiti. Ci si domandava: ma come possono essere credibili le proposte di chi da decenni ha avuto la possibilità di tradurle in realtà e non l'ha fatto?
Stesso tipo di interrogativo verrebbe da porsi con riferimento agli attuali leader sindacali datoriali e dei lavoratori. Ossia: ma questa gente finora cosa ha fatto? Imprese e lavoratori fanno bene ad affidarsi a loro? Si potrebbe rispondere che alcuni di loro sono di recente nomina. Forse sì ma, guardando le loro carriere, sono stati sempre in seconda fila , subito alle spalle dei rispettivi leader del passato e, comunque, è risaputo che a livello sindacale le responsabilità sono più condivise poiché le carriere durano più a lungo, a differenza degli staff dei segretari politici che ne seguono la sorte, spesso, in relazione agli insuccessi elettorali.
Comune a entrambi i mondi, politico e sindacale, è la mistificazione nella lettura delle fonti. Come prevedevamo pochi giorni fa, le raccomandazioni dell'OCSE sono state lette all'italiana: ognuno un po' come gli pare. La povera Fornero, in particolare, non avrà pace per anni: infatti il suo nome verrà associato all'omonima riforma di cui sicura è la madre (la professoressa Elsa, appunto) ma di cui tutti disconoscono di essere il padre. Speriamo che i verbali delle votazioni della riforma non facciano la fine dei tracciati radar di Ustica...Partendo da tale lettura tutti i protagonisti del dibattito hanno ritenuto di dire la loro. Le posizioni più preoccupanti sono di coloro che non partecipando alle elezioni ritroveremo anche dopo. Il segretario della CISL per esempio. Anche lui dice qualcosa che coincide con le nostre posizioni: basta leggi sul lavoro, le riforme per dare un impiego a chi non ce l'ha le concordino le parti sociali e se necessaria una legge sia essa solo recepimento di accordi presi. E' vero, siamo d'accordo sul principio. E' dagli anni settanta che si dice che le riforme dovrebbero essere progettate ascoltando gli interessati, con un ampio consenso e non imposte dall'alto da chi non sa nulla della realtà in cui va a mettere le mani. Ed è altrettanto vero che anche noi siamo per un sindacato vecchia maniera che ottenga nuovi equilibri economico-sociali e normativi attraverso gli accordi ma, se necessario (al contrario della CISL) anche con le lotte e gli scontri sociali (non violenti, per carità) Però... il secondo sindacato italiano non dice “basta leggi” ma “basta NUOVE leggi”. Ossia, e non è una sottigliezza da poco, per la CISL la Legge Biagi e la Legge Fornero non vanno toccate. Come già eravamo abituati nel pubblico impiego, la CISL mostra di condividere non un modello di libera ma di falsa contrattazione. Irregimentata in leggi mal concepite, condizionata da erogazione di risorse in cui è lo Stato ad aprire e chiudere il rubinetto (e qui è meglio per tutti essere conservatori poiché quelle poche volte che il rubinetto è stato affidato ai sindacati sono spariti il rubinetto, il tubo, il lavandino e la cisterna...). In poche parole: subordinata e complice del governo di turno.Vuol dire quindi che si condivide ad esempio “quel” l'articolo 18, quella riforma delle pensioni, quella moltiplicazione dei tipi contrattuali, quella selvaggia negazione dei diritti democratici dei lavoratori, quella visione strumentale (tra l'altro malriuscita) del rito processuale, per cui se il lavoratore deve essere licenziato la giustizia è più veloce di quando lo stesso deve rivendicare differenze retributive, demansionamento o lavoro in nero.E' netta poi la sensazione che tutti questi personaggi parlino in maniera ingannevole del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Come se volessero nasconderci la scomoda verità che anch'essi conoscono: che il lavoro a tempo indeterminato morirà con l'ultimo degli attuali statali che andrà in pensione. Lo ripetiamo, anche per svegliare tanti lavoratori dal mondo dei sogni: cerchiamo di lottare per un lavoro dignitoso e ben retribuito, non guardiamo a un modello che di fatto (indipendentemente che noi lo si dica o no) è destinato a sparire con gli ultimi uffici pubblici vecchio tipo e con le ultime fabbriche di una volta. Occorre che il lavoratore abbia occasioni continue, possibilità di fare carriera e che sia sicuro di avere un reddito anche nelle fasi di sospensione dell'occupazione. Occorre aumentare gli stipendi, garantire i diritti sul lavoro, garantire a tutti (fino a quando non torneremo a essere un paese civile sul lavoro e nelle relazioni sindacali) lo stesso articolo 18 vecchio tipo e l'agibilità sindacale a tutte le sigle. E poi spirito pratico: se la somministrazione, nonostante quanto apparisse all'inizio, si è rivelata un accettabile strumento per far lavorare più persone possibili nella legalità e nel rispetto dei contratti, ben venga un incoraggiamento della stessa. Se l'apprendistato(di tipo nuovo) non cammina alla velocità voluta è perchè probabilmente il progetto era irrealistico, ad esempio lontano dal modello tedesco, che invece funziona .Inutile quindi sbandierarne una efficacia indimostrata e peggio ancora continuare a illudere, con false promesse di stabilizzazione (chi paga? Né lo Stato né le aziende sembrano disponibili, quindi non prendeteci in giro) chi come cocopro e partite iva è tra le maggiori vittime della legge Biagi e soprattutto, degli errori (nel modulare gli incentivi) della Legge Fornero.I politici che si occuperanno di questo argomento, dopo le elezioni, agiscano in maniera semplice e sensata: ascoltino le imprese (non solo Confindustria) , i sindacati (non solo Triplice e UGL) e i consulenti del lavoro così come le agenzie e gli altri protagonisti. Effettivamente, guardando alla validità delle proposte e non inventandosi gerarchie di rappresentatività frutto di fantasia e di strumentalità. Badando alla soluzione concreta dei problemi. Non ci servono più né Ministri né studiosi che continuino a passare alla Storia solo per i danni fatti a lavoratori e pensionati.
Intendiamoci: non è che da Confindustria (che sa solo proporre incentivi, cioè soldi alle imprese, le sue in particolare) e CGIL (che gira e rigira ripropone solo l'assunzione di nuovi dipendenti pubblici anche se si guarda bene dal chiamarli così) vengano indicazioni più valide. Viene da dire: se il vostro livello propositivo è questo, meglio che stiate a case e non facciate patti o accordi sulla nostra schiena.
Certo è che anche la classe sindacale comincia a dare segni di usura e che forse è arrivato il momento di rottamare. Non a caso abbiamo (solo noi) segnalato che già il mondo sindacale ha il suo Porcellum: la rappresentatività così come individuata nell'accordo Confindustria-Sindacati del giugno 2011. Speriamo rimanga solo uno dei tanti protocolli sindacali caduti nel vuoto (delle nostre tasche...) . In conclusione, noi che da tempo critichiamo il mondo accademico per essersi reso corresponsabile delle nefandezze dei politici, non possiamo non sottolineare positivamente, per una volta, un passaggio, che condividiamo in toto (potete andare a rileggervi precedenti nostri articoli) , di un recente intervento del Prof. Michele Tiraboschi sul tema della contrapposizione tra contratto a tempo determinato e indeterminato che da tempo toglie il sonno a leader politici e sindacali senza che riescano a venire a capo di nulla di concreto. Dice il Prof. Tiraboschi: “il dibattito sui contratti stabili e precari dimostra il ritardo culturale del nostro Paese nell'interpretare e costruire il futuro di un'economia e di una società. Il tema vero è il superamento della contrapposizione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato per costruire uno Statuto di tutti i lavori. Il futuro del lavoro non si gioca più sulle forme contrattuali quanto su autonomia e creatività del lavoro, l'assunzione di rischio e spirito imprenditoriale anche nei lavoratori e, infine ma non ultimo, le competenze. Il mercato del lavoro è fatto con i contratti ma questi creano valore solo se sono veicolo di competenze professionali e base per lo sviluppo di logiche virtuose di produttività tanto a favore delle imprese che dei lavoratori”.

SOLIDARIETA' DELL'AGL AI LAVORATORI DELLA RAI E DI RCS MEDIAGROUP (TRA I QUALI I GIORNALISTI DEL CORRIERE DELLA SERA)

Rai: nonostante la cura dimagrante annunciata dal Direttore Generale, da una parte vengono nominati 12 vicedirettori (con relative spropositate retribuzioni) e dall'altra 450 dipendenti saranno definitivamente fuori dall'Azienda. Poiché 150 di essi stanno resistendo, non possiamo che essere solidali con loro e dirgli di tenere duro.
Un'altra importante entità della cultura del nostro Paese, la RCS, sta attraversando una fase drammatica, soprattutto per i propri lavoratori.640 esuberi di cui 200 giornalisti, la vendita o chiusura di 10 testate periodiche, la vendita della sede del Corriere della Sera di Via Solferino, risparmi sul costo del lavoro che significheranno riduzioni della retribuzione. Tutto, sembra, non per una crisi di mercato ma per errori del management. Anche qui la nostra piena solidarietà ai lavoratori. Continueremo a seguire la vicenda.

CULTURA: PUBBLICO O PRIVATO?

In queste ore gli italiani stanno scegliendo chi li governerà nei prossimi cinque anni e per fortuna l'attenzione è caduta anche sul modo di sostenere la cultura, un bene fondamentale per il nostro Paese. Tanti lavoratori (attuali e potenziali) sono interessati a questo argomento e quindi è bene che anche da parte nostra si esprima un'opinione. Già in passato (e non ci ripeteremo) abbiamo confutato la tesi per la quale, per alcuni, “con la cultura non si mangia”. Sarebbe troppo facile liquidarla dicendo che è “una boiata pazzesca”. Diciamo che è interessante capire da dove essa tragga origine: indubbiamente da una visione rozza e semplicistica dell'andamento e dello sviluppo della nostra società. Purtroppo però la tesi contraria (mangiare con la cultura) pecca di un limite altrettanto grave: identificare la cultura come mantenibile solo a condizione che lo Stato assicuri uno stipendio fisso agli operatori della cultura. Si è fatta strada allora una “terza via” quella di promuovere l'intervento dei capitali privati nella cultura, con un mix di soluzioni a volte rimaste solo a livello di intenzioni a volte con risultati contraddittori e comunque a loro volta oggetto di polemica. La colpa ricade un po' anche sul mondo della cultura italiana che non ha mai perso il vizio di “schierarsi”. Chi ha un po' più di anni sulle spalle e queste vicende le ha seguite fin dagli anni '60 non può però non cogliere un tratto caratterizzante dell'evoluzione di questa diatriba fino ai nostri tempi. Ossia che una volta si combatteva in nome di una ideologia, poi, più avanti, la motivazione era individuabile nell'aver conservato o meno un “ideale”, ora (che sono spariti sia le ideologie che gli ideali) l'essenza di tutto è nei soldi. Si parte dalla propria storia per schierarsi in un limitato ventaglio di partiti, da lì si cercano poltrone, occasioni di lavoro, finanziamenti o, quanto meno, uno stipendio fisso e, sempre per i soldi, si è disposti a fare, in campo culturale, il salto della quaglia, inventandosi crisi di coscienza e susseguenti rivoluzioni di pensiero. Portandosi dietro sempre “il nuovo” come bandiera imprescindibile (ma un po' inflazionata). In sintesi: un processo di scilipotizzazione della cultura italiana. Grazie a dio, in base alla nostra Costituzione, la Cultura è un ambito libero per definizione e, come noto, l'essere umano, essendo dotato di libero arbitrio, può fare e andare dove meglio crede. I lavoratori (attuali ma soprattutto potenziali) del cosiddetto settore culturale hanno ormai imparato (come quelli dell'istruzione o dell'università) a non farsi eccessive illusioni, pur avendo, magari, in tasca uno o più titoli di studio di elevato livello anche se nel contempo col desiderio di incrementare anche la propria esperienza lavorativa e di mangiare, farsi una famiglia o migliorare la vita di quella che già si ha. Noi non abbiamo pregiudiziali ideologiche nei confronti del ritorno (in realtà più o meno ci sono sempre stati) dei Mecenati (i privati) nella cultura italiana oppure nei confronti di meccanismi di incentivazione fiscale che tocchino questo mondo oppure nel rafforzamento dell'intervento di organi pubblici nei tipici casi nei quali l'intervento diretto dei privati sarebbe o inopportuno o improbabile per scarsa convenienza economica. Diciamo solo che non si può ridurre la lotta sindacale nella mera difesa di posti e retribuzioni fisse o di istituzioni decotte perché, anche in caso di vittoria la stessa sarebbe soggetta al futuro ricatto economico dei vincoli alle risorse di bilancio e a quello politico del dover seguire gli input politici della classe dirigente al governo in quel momento e che magari ti ha fatto il “favore” di “salvarti” a spese del contribuente. Non sarebbe più una cultura veramente libera, quindi. D'altro canto non crediamo sia necessario, per l'ennesima volta, richiamare quali siano gli enormi pericoli per la cultura derivanti da un eccessivo, incontrollato e selvaggio ingresso dei privati . Non parliamo poi della nefasta esperienza della lottizzazione politico-partitica di tante istituzioni culturali. E ovviamente non si può chiedere a un sindacato che abbia a cuore gli interessi dei lavoratori e dei cittadini meno abbienti di non indicare questi pericoli, di non intervenire per ostacolare certi processi e operazioni speculative. Anche i lavoratori della cultura, se si ritengono veramente portatori di istanze decisive per una società migliore, devono cominciare, su queste questioni (che riguardano il prosieguo o i presupposti di una loro eventuale attività lavorativa) , a pensare e scegliere più con la loro testa che con quella dei partiti, dei sindacati, degli enti e istituzioni nei quali fino ad oggi hanno creduto e a cui in parte hanno affidato il loro destino. E dire se per loro è più importante considerare come traguardo il posto e lo stipendio fisso oppure iniziare a rischiare con tutti quei cittadini che, da altri punti di partenza, sono rimasti anch'essi esclusi da una prospettiva di sicurezza. Come possono pensare i lavoratori della cultura di affermare che la cultura è libertà vera delle menti e condivisione di assetti più avanzati di convivenza civile se continuano ad affidare e a incanalare le proprie speranze in organismi che li hanno sempre mal sopportati e trascurati e che nella migliore delle ipotesi cercano di tener buoni con uno stipendio fisso (temporaneo) o con finanziamenti clientelari alle loro iniziative? E non instaurando invece un dialogo vero con tutti i cittadini, anche quelli politicamente e socialmente più distanti da loro?Ecco la soluzione quindi: non cadete nel ricatto occupazionale, stipendiale e dei finanziamenti, impegnatevi a interagire con tutti i cittadini (soprattutto con coloro oggi più distanti da voi) scavalcando i vostri finti sostenitori e sostenendo le idee di quell'intellettualità che da tempo individua modelli diversi e alternativi di sviluppo, culturale e materiale.

domenica 17 febbraio 2013

LAVORO: PARTITA DAL PORTO FORNERO, UNA ZATTERA ALLA DERIVA NELLA NOTTE GALLEGGIA SULLA PALUDE DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI. I TRE MAGGIORI SCHIERAMENTI DISCORDI SUL DOPO ELEZIONI.

E' di pochi giorni fa l'ultimo richiamo dell'OCSE che come al solito, all'italiana, verrà letto dagli interessati, in più maniere tra loro contraddittorie. Dice l'OCSE che più che il posto, va protetto il reddito del lavoratore. Ma i soldi per farlo, in Italia, ci saranno?Le leggi, infatti, come noto, non producono di per sé nuove risorse.Anzi, per raggiungere l'obbiettivo spesso ne richiedono di nuove. Sempre OCSE sostiene che ciò influirebbe sulla migliore dislocazione della forza lavoro. Ma già qui emerge una divergenza di impostazione tra una Europa liberista, che ipotizza un processo di causa -effetto spontaneo e una visione italiana statalista e dirigista che unanimemente ritiene che questi processi vadano guidati da politiche attive del lavoro (per la verità solo nell'ultimissima comunicazione l'OCSE ne fa cenno, senza troppa convinzione) , mai realmente fatte in decenni nonostante le decine di migliaia di dipendenti pubblici impegnati nelle relative amministrazioni di cui non si vuole ammettere , per motivi clientelari, l'inutilità. Sarà dura realizzare la flessibilità in entrata e uscita richiesta dall'OCSE quando la mentalità prevalente è quella che l'una e l'altra parte , nelle due fasi, debbano essere più brave a fregare la controparte che a rispettare regole di correttezza e civiltà. Tutto un altro mondo, quindi. In ogni caso in Italia, prima del 2017 un sistema universale di protezione sociale per chi perde il lavoro non sarà realizzabile e quindi su questo, per il momento, a meno che non siano scoperti pozzi di petrolio in Via Flavia, è meglio mettersi l'anima in pace e proseguire coi vecchi ammortizzatori. Già il Fondo Monetario Internazionale aveva cominciato a snocciolare questo libro dei sogni: riforma della giustizia, riforma tributaria, riforma della scuola e dell'università, no ai condoni, ridurre il cuneo fiscale,liberalizzazioni, privatizzazioni, ecc. Con un po' di ritardo forse: qualcuno dovrebbe spiegare all'OCSE che in Italia le tasse universitarie è inutile aumentarle ancora visto che ormai gli studenti stanno abbandonando le facoltà sia per i già alti costi sia per l'inutilità della laurea nell'attuale mercato del lavoro. E con troppa prudenza, visto che lascia la porta aperta e quindi ammette una modulazione temporale degli interventi in tutti i settori di cui si propone la riforma compatibilmente con le esigenze di bilancio. Quindi se ne parlerà tra anni. Per cui: parole al vento. Nel frattempo la riforma Fornero si delinea (lo dicono gli imprenditori e non stranamente quei partiti che dicono di voler rappresentare il lavoro dipendente, il più colpito dal capolavoro della professoressa torinese) come un disastro epocale. . Ha aggravato i costi nell'utilizzo di apprendistato e lavoro a termine, ha concorso alla perdita di ulteriori 320 mila posti di lavoro e a un tasso di disoccupazione, specie giovanile, che da tempo non si riscontrava. Le aziende fanno sempre meno contratti, soffocate da burocrazia asfissiante e oneri inutili. Il contratto di apprendistato è affondato per l'aumento della contribuzione, per il vincolo di stabilizzazione e, per la verità, anche per i ritardi delle Regioni. Analoghe disavventure per il contratto a tempo determinato, grazie all'aumento della contribuzione, non riequilibrato dal premio di stabilizzazione e dalla possibilità di omettere il “causalone”.La reputazione delle collaborazioni e delle partite IVA era da tempo segnata (per la intrinseca pericolosità) da parte delle aziende, il contratto di inserimento è stato abrogato,le agevolazioni alle assunzioni femminili sono al palo per la solita non immediata attuabilità delle leggi italiane (da definire ancora territori e tipi di impiego). Poiché è aumentato il contributo per l'ASPI è diventato più costoso licenziare quindi si preferisce addirittura non assumere. Nè tanto meno le aziende sono propense a versare i contributi relativi ai fondi di solidarietà bilaterale e residuale.
Un capolavoro quindi cui oltre alla Fornero ha sicuramente concorso l'elite amministrativa del Ministero del Lavoro che ha fornito la propria preziosa consulenza tecnica a supporto del Ministro. Anche l'Italia pertanto possiede le sue armi di distruzione di massa. Come rimediare? Qui la confusione rischia di accentuarsi. Il PD è per una modifica della riforma, il PDL per abolirla, Monti (cioè Ichino) per sperimentare nuove soluzioni. Molto dipenderà da chi ricoprirà il posto di Ministro del Lavoro e dalle spinte che verranno, su un tema tanto sensibile, dalla sinistra estrema, dalla lega, dai grillini e, ovviamente, dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Dalla lettura delle varie posizioni in campo alcune osservazioni sono d'obbligo.
Il PD appare eccessivamente attardato in una visione ingegneristica del diritto del lavoro. L'impressione è che abbia difficoltà ad elaborare un modello coerente e compiuto e, probabilmente, sia intenzionato in futuro ad appaltare alla CGIL e alla Camusso , volta a volta, l'elaborazione di proposte da far proprie come governo in cambio di una pace sociale (e qui non sembra lecito attendersi uno scavalcamento da parte di CISL, UIL e UGL). Da un punto di vista tecnico è prevedibile che si ripropongano gli stessi errori compiuti quando si riformò la materia del lavoro pubblico. Un groviglio di circolari, decreti attuativi, protocolli di intesa che rischia di far diventare il diritto del lavoro italiano ancor più giungla di come lo sia attualmente. Unico sollievo: forse per un bel po' di tempo ci verrà risparmiata l'inutile polemica sull'articolo 18 (forse l'argomento che alle aziende interessa di meno, in quanto non a tutti è noto che le aziende non vogliono licenziare ma crescere, produrre e assumere alle condizioni più favorevoli possibili). Il PD non si occuperà di pensioni (non smetterà mai di ringraziare la Fornero per averci lavorato sopra sporcandosi fino al collo) se non per sanare la vicenda esodati effettivamente imbarazzante per l'elettorato di riferimento L'art. 8 di Sacconi per il PD è come l'alieno di Roswell di cui si debba fare l'autopsia: ancora non ha capito da dove cominciare,se la contrattazione aziendale è un rischio o un opportunità: poco male: saranno gatte da pelare per la CGIL....
L'uomo di punta per la Lista Monti è Ichino, uscito sconfitto anche lui dalle primarie del PD. Ovvio che per questo motivo e per la sua scelta di cambiare schieramento, nonché per una vecchia ruggine tra lui e l'Amministrazione del Lavoro, sarà difficile che la sua proposta possa essere influente, quanto meno nella prima parte della legislatura. Il professore è divenuto molto più prudente (il tritacarne in cui si è ficcata la Fornero ha spaventato molti studiosi) e pone l'accento sull'aspetto sperimentale della propria proposta perchè neppure lui sa se possa davvero funzionare nel caos del mondo del lavoro in Italia. Diversi sono i punti deboli della proposta. In sintesi:le imprese sono stanche di esperimenti: vogliono lavorare e in sicurezza, altrimenti vanno all'estero. Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato (illusorio) rischia più di essere un dogma che una realtà. Forse è bene che si elaborino modelli alternativi in cui tutti, senza privilegi, possano cambiare lavoro nella vita in piena sicurezza. Il precariato non è sgradevole tanto per la durata determinata ma per essere sfruttamento sottopagato e ricattato. Più che la durata, qui il tema è la dignità delle condizioni di lavoro e la sufficienza della retribuzione. Quindi secondo noi, anche da parte di Ichino c'è un evidente ritardo interpretativo. Di ridurre il cuneo fiscale Ichino sa meglio di noi che non è aria, almeno finchè i costi della PA saranno a questi livelli. Ichino poi dovrebbe sapere che l'Outplacement in Italia il soggetto pubblico non sa farlo e quindi non sarebbe gratuito. E delude quando scomunica l'art. 8 di Sacconi in nome del totem CCNL. Ci saremmo aspettati un po' più di coraggio nel valorizzare la contrattazione aziendale, l'unica che può sparigliare il pluridecennale immobilismo dell'assetto sindacale italiano.
Quanto al PDL pesa su questo schieramento l'eredità della gestione Sacconi cui non si può non pensare in relazione alla credibilità delle intenzioni di modificare realmente, questa volta, il mercato del lavoro. Certo, non si può negare che la scelta sia chiara (abolire la riforma Fornero e tornare alla Legge Biagi) e che il quadro ideologico sia coerente. Il punto debole è nella dimostrata incapacità, in questi anni, di quella parte, di saper unire e non dividere il mondo del lavoro su una prospettiva condivisa. E in Italia la riforma del Lavoro o la si fa tutti assieme o non la si fa. Anche in questo caso, come per Ichino, il contrasto tra tempo indeterminato e precariato è posto in maniera non corretta e fuorviante, in maniera cioè poco moderna. Ovviamente la validità dell'art. 8 di Sacconi è ribadita ma ci sarebbe più piaciuta una netta presa di distanze da visioni dello stesso penalizzanti per le condizioni dei lavoratori. Bene abbattere il totem del CCNL ma per migliorare le condizioni di imprese e lavoratori , non per peggiorarle perchè non è così che l'economia cresce. Quanto al tema della liberazione del lavoro dai vincoli fiscali e burocratici, lo stesso è convincente come sempre ma in realtà è rimasto in questi anni una mera utopia nonostante le responsabilità di governo ricoperte.
In conclusione auguriamo a tutte le forze politiche, dopo le elezioni, di riuscire a realizzare qualcosa di buono e costruttivo per tutti i lavoratori italiani. Ne sentiamo veramente il bisogno.

COSA C'E' DIETRO ALLA POLEMICA SUL “MADE IN ITALY”?

Negli ultimi anni è accaduto che molti mercati italiani siano stati assaltati da oggetti fabbricati apparentemente fuori dal nostro Paese. Gli italiani li hanno osservati, li hanno comprati, provati e spesso continuano a comprarli. Perchè quasi sempre sono prodotti di qualità pari o superiore a quelli made in Italy e, particolare non trascurabile, costano di meno. Spesso questi bassi costi sono possibili per il costo del lavoro che notoriamente in Italia è più alto che altrove (come faremmo infatti se non mantenessimo la nostra cara burocrazia?). Le aziende italiane (imprenditori e lavoratori) sono da allora in difficoltà. Indubbiamente gli effetti per l'economia italiana sono negativi. Vi sono riflessi sul destino di imprese che devono chiudere e sul mantenimento della relativa occupazione. Dove qualcuno ci perde, qualcun altro ci guadagna: il consumatore può acquistare oggetti d'uso a un prezzo più favorevole, venditori stranieri in Italia più o meno clandestini hanno la possibilità di sbarcare il lunario e prosperano gli affari di quegli italiani che forniscono queste merci prodotte all'estero (o in Italia a condizioni da Terzo Mondo) ai venditori stessi.Nella misura in cui certa criminalità organizzata controlla questi traffici, è ovvio che vi sia una sua compartecipazione ai profitti. Chi lavora nelle fabbriche di questi oggetti vive una realtà double-face : da una parte è sfruttato e sottopagato, rispetto agli standard occidentali. Dall'altra ha compiuto un passo avanti sulla strada dell'uscita dalla fame e dalla povertà, perchè, anche se è triste dirlo, avere un lavoro e una magra retreibuzione è sempre meglio che non averlo. Chi si scandalizza per queste affermazioni evidentemente non ha mai provato effettivamente la fame, la povertà, la disperazione.Sottolineamo il particolare che vorremmo non sfuggisse. Non sempre e non più la produzione avviene all'estero ma ciò si verifica anche in Italia. Chi impedisce di farlo? Nessuno, quasi, poiché i controlli non vengono fatti da alcuno, se non , nei limiti del possibile, dalle forze dell'ordine, che non finiremo mai di ringraziare. Sull'operato del resto della PA è meglio che stendiamo un velo pietoso (non certo per colpa degli addetti ma dell'organizzazione che nel pubblico colpisce e penalizza chi vorrebbe lavorare).
Per gestire questa situazione da anni c'è un intenso impegno degli organismi europei e una attività costante delle associazioni imprenditoriali. In verità senza molti risultati. Lo sviluppo , un certo tipo di sviluppo, sia produttivo che commerciale, non lo puoi bloccare con i cartellini, così come è inarrestabile il fenomeno migratorio con impronte digitali o flussi o permessi di soggiorno dati col contagocce.
Ci dispiace per gli imprenditori delusi ma spesso i tarocchi sono quelli prodotti dalle loro italianissime fabbriche (per vlucrare sul costo dei materiali) e non da quelle dei poveri sfruttati. Dimenticano poi un particolare: che il consumatore (ma il mondo potremmo dire) è stanco di sopportare il costo derivante dal mantenimento di privilegi da parte del commercio vecchio tipo. Stiano tranquilli che se saranno in grado in futuro di fabbricare prodotti di valore a un prezzo giusto la gente li acquisterà senza andare a vedere il cartellino. E crediamo che la stessa cosa già faccia, per risparmiare, il commerciante che un minuto prima si è lamentato delle chincaglierie cinesi. Così come sua moglie, quando va a fare la spesa. Ciò sempre che si scelga di vivere in una società libera, anche commercialmente. Avete voluto il capitalismo? Bene, lo stesso prevede che quando uno non sia più capace di fare un mestiere, lo cambi. Avete voluto una società liberale, con regole da rispettare per una migliore convivenza? Avete sempre rispettato queste regole?No? La stessa cosa la stanno facendo ora altri abitanti dell'Italia e altri Paesi. Adesso, speriamo, capirete come è fastidioso vivere in un posto dove ognuno, come voi da tanto tempo, fa un po' quello che gli pare! Certo noi non possiamo pagare un paio di scarpe il triplo solo perchè voi possiate mantenere le vostre ville, amanti e macchinone. Quindi andate a produrre in Cina e andate a fare concorrenza ai cinesi, se ci riuscite. Prima o poi verranno in Italia imprenditori e commercianti stranieri più bravi di voi che (senza aiutini) sapranno mettere a frutto quello che nessun Paese al mondo ha: i mestieri e le abilità di tanti lavoratori italiani.

COOPCOSTRUTTORI DI ARGENTA (FE), GIUSTIZIA ATTESA DAL 2003. DELUSIONE PER LE MITI CONDANNE

2003: scoperto un buco da un miliardo di euro nella contabilità della quarta azienda edilizia italiana. 10.000 creditori in difficoltà e 3.000 famiglie rovinate.
Sapevamo che in Italia per avere giustizia occorre tanto tempo. Certo, la giustizia non è vendetta ma, nel caso in cui non sia possibile recuperare i soldi, in questo, come in tutti gli altri casi, un po' di punizione allevia le sofferenze. Ma in Italia non tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Chi è più ricco può pagarsi i migliori avvocati e ha più probabilità se non di farla franca, almeno di limitare i danni. Colpiscono alcuni fatti che da tempo si ripetono in casi come questi che riguardano grandi cooperative affiliate a grandi Centrali.Il nuovo modello di vigilanza pubblica cooperativa, nato, caso vuole, proprio nel 2002 qui sembra essere stato attraversato dalla vicenda come un ectoplasma. Magra consolazione per gli organi ministeriali che anche le tre società di revisione e certificazione dei bilanci (le grandissime cooperative hanno anche questo obbligo aggiuntivo) siano state assolte. Come poteva un ispettore ministeriale in sede straordinaria accorgersi di quanto sfuggito addirittura ai super professionisti della revisione contabile? Però non può finire qui e non può finire così. Per quelle imprese e famiglie coinvolte, le quali entrambe hanno fatto affidamento sul sistema cooperativo non a caso ma perchè pensavano che godendo di agevolazioni fosse adeguatamente vigilato (preventivamente, contestualmente e subito dopo gli interventi) e, dal punto di vista delle famiglie, perchè in Italia (lo dice la Costituzione) le cooperative sono imprese non come tutte le altre ma con la caratteristica di avere una funzione sociale vincolante per la possibilità di godere di benefici e contributi.
In Italia, a seguito delle prossime elezioni, molto probabilmente diverrà Presidente del Consiglio un esponente politico piacentino nato, cresciuto e maturato nel cuore dell'Emilia cooperativa il quale, si dice, abbia nel mondo cooperativo uno dei principali pilastri della propria forza politica ed elettorale. In campagna elettorale tutti i sindacati hanno inviato alle forze politiche una serie di indicazioni programmatiche, chiedendo su di esse l'impegno dei vari partiti facendo intendere di poter garantire un sostegno a chi facesse proprie determinate proposte.
Non ci risulta che nessun altro sindacato, oltre a noi dell'AGL, abbia chiesto al probabile futuro presidente del Consiglio quanto segue: che per evitare che si ripetano drammi come quello della Coopcostruttori di Argenta venga abolita la possibilità che la vigilanza ordinaria annuale o biennale sulle società cooperativa venga demandata alle stesse Centrali cooperative cui quelle cooperative aderiscono e a cui pagano quota associativa e contributi di revisione, oltre a destinare una percentuale del patrimonio residuo ai rispettivi fondi mutualistici. Non vi può più essere coincidenza tra controllore e controllato (la vicenda Banca d'Italia – MPS qualcosa avrà pure insegnato) E che la vigilanza sulle società cooperativa torni tutta e unicamente allo Stato che la eserciti attraverso il Corpo di revisori appositamente abilitati e per i quali venga istituito un albo e ruolo professionale. Che questi revisori e ispettori straordinari vengano aggiornati gratuitamente e intensamente , che tutte le strutture e le risorse della PA vengano messe a loro disposizione a costo zero, che vengano di nuovo istituiti uffici territoriali della vigilanza cooperativa e che in essi vengano impiegati quelle centinaia di revisori oggi in forza al Ministero del Lavoro (ostacolati costantemente dalla Direzione Generale del Personale di quella sfortunata Amministrazione) che possano, se lo vogliano, trasferirsi al Ministero dello Sviluppo Economico. Ciò per garantire il rispetto della frequenza annuale e biennale delle revisioni. E per prevenire, prima che sia necessario, come per la Coopcostruttori, l'intervento “curativo” della Magistratura (benemerita) quando però ormai non ci sia nulla da fare per famiglie e creditori.
Aspettiamo fiduciosi di vedere se chi si professa coraggioso liberalizzatore e nemico delle Lobby abbia, una volta al potere, il fegato di distogliere le Associazioni che lo hanno sempre sostenuto da un mestiere non loro congeniale (quello di controllore di coloro che li finanziano) e di farle concentrare sull'attività più propria di assistenza, tutela e rappresentanza.

AGL Ispettori di Cooperative

I RAPPORTI CON L'EUROPA E I VERI INTERESSI DEI LAVORATORI ITALIANI

In campagna elettorale è uno dei tempi più trattati: quello dei rapporti dell'Italia con la Merkel e con l'Europa (da essa , sembra, di fatto, egemonizzata) con la Francia (che bene o male, come suo solito, riesce a darsi una chiave per gestire i propri interessi) con gli USA (da noi italiani criticati ma, probabilmente, non del tutto compresi)
A nostro parere i ragionamenti che si fanno in Italia sono inquinati dalla persistenza di miti e di frasi fatte. Uno dei rimpianti legati all'avvento dell'euro è quello della sopravvenuta impossibilità di mantenere il nostro export facendo leva, come una volta accadeva, sulla svalutazione. Si dice: perchè americani e giapponesi possono farlo e noi no? A nessuno viene in mente che forse è l'imprenditoria italiana a non saper essere più competitiva come una volta. Forse perchè ha sempre pensato ad arrangiarsi e a speculare più che agli interessi veri del Paese la tutela dei quali fosse oggetto dell'attività di una classe dirigente politica in verità sempre più scadente perchè scarso oggetto delle attenzioni e delle cautele (a parte le interferenze illecite e l'assalto alla diligenza delle agevolazioni) degli imprenditori. Chi è causa del suo mal, quindi, pianga se stesso.Grande responsabilità è anche dei grossi sindacati, i quali hanno seguito a ruota, come un ballo di coppia, la classe imprenditoriale, puntando non sullo sviluppo della produttività ma sul perpetuarsi dei pascoli pubblici per mantenere le proprie greggi. Poca lungimiranza quindi, anzi miopia, nonostante il fiorire di centri studi di politica economica. Ora forse è troppo tardi per scampare a un destino simil-greco (nella sostanza anche se, probabilmente, nella forma, un po' più soft...o ci saremo già dentro e non ce ne siamo accorti?)Perchè? Il fiscal-compact è ormai realtà e le ganasce ce le siamo messe e abbiamo lasciato che ce le mettessero. Gli impegni l'Italia li ha mantenuti e dovrà mantenerli. Tutti i partiti (per scarso coraggio) lo ammettono e anche chi si vuole un po' smarcare sappiamo già che dopo, in Europa, chinerà la testa perchè le grandi potenze sanno come utilizzare i loro strumenti per farsi rispettare. Non si esce da un meccanismo da un giorno all'altro. Occorrerebbero grandi personalità politiche che ragionassero su un orizzonte di medio-lungo periodo. Questi pensano solo a mantenere il loro seggio parlamentare il più possibile e a monetizzare quanto più si può. Gli altri, i “nuovi” arrivati sulla scena politica avranno pure tante buone intenzioni ma non sono oggettivamente e comprensibilmente preparati a una attività così complessa.La classe imprenditoriale? Anch'essa pensa agli affari suoi. Chi può trasferisce i propri interessi fuori dall'Italia (quindi non solo la FIAT lo sta facendo ma tutti gli altri).
Il secondo mito da sfatare è quello della tutela dell'italianità. Ma quale? Quella del boom economico degli anni '60? Bella, ma nei film. Quella delle grandi personalità e dei cervelli? Ma le une e gli altri ormai non parlano più neppure in italiano, se non nella pubblicità e nelle cerimonie di premiazione. Infatti, li abbiamo indotti a scappare via, adottando un sistema di istituzioni culturali universitarie e scolastiche quello sì degno dei film di Totò o degli spettacoli di Pulcinella. O l'italianità degli imprenditori che vanno a portare sfruttamento, mazzette, malaffare all'estero? Con quelli lì l'italiano onesto non ha nulla a che fare. Ma non è che per caso tutta questa passione per l'italianità sia alimentata dai vertici di quelle aziende (Edison, Bnl, Parmalat, Finmeccanica, Saipem, Alitalia,Telecom, Enel , Eni e Fiat) che o già sono state comprate o stanno per esserlo dagli stranieri? Ma perchè il lavoratore italiano dovrebbe preoccuparsi della sorte di imprenditori e manager incapaci e guardare con timore all'avvento di imprese e paesi diversi desiderosi di fare e non di evadere, speculare, corrompere, licenziare? Quindi, spettabile management di quelle aziende in via di acquisizione (e giornali amici), lamentatevi pure ma non nel nostro nome di italiani. Voi avete tradito l'Italia in nome del vostro portafoglio, voi con noi non avete più nulla a che fare e non vi vogliamo più. O meglio, aspettiamo di incontrarvi a fare il nostro stesso lavoro alla catena di montaggio, negli uffici o a pranzare al nostro fianco alla mensa aziendale.Vuoi vedere che grazie all'avvento degli stranieri finalmente i vertici aziendali verranno scelti in base a criteri meritocratici e non alla discendenza famigliare?

I DIPENDENTI PUBBLICI E LA POLEMICA SUI COSTI DELLA BUROCRAZIA

I dati diffusi da Confartigianato sui costi della burocrazia fanno impressione. Se ne parla da anni ma evidentemente fare qualcosa di serio per ridurla, razionalizzarla e modernizzarla si è rivelato impossibile.
Diamo per scontato che sull'interpretazione del fenomeno e sull'identificazione di esso come un problema (“il” problema?) si sia concordi. Per lo meno tra i cittadini che non abbiano le mani in pasta con quel groviglio di interessi e vogliano sinceramente il bene di sé stessi, delle loro famiglie, delle loro imprese (se non le hanno già chiuse).La domanda capitale è : “che fare?” ma soprattutto “chi può fare di più?” (l'assonanza sanremese è puramente casuale).
Soggetti politici che vogliano veramente innovare, all'orizzonte, non se ne vedono. Per ragioni diverse e comprensibili. Uno schieramento ha nell'elettorato appartenente al pubblico impiego uno dei propri pilastri. Un altro è, per sua natura, punto di riferimento, di fatto, della dirigenza (e si sa che i generali, senza un esercito, anche scalcinato, contano ben poco) cioè di chi nella PA è presente non a caso e svolge ruolo di garante per il perpetuarsi del potere, un altro ancora ha capito, sin dal 1994 che anche se a malincuore e turandosi il naso con la burocrazia deve fare i conti (e non può regolare i conti) se non vuole che le proprie “riforme” tese a favorire determinate categorie e territori serbatoio elettorale si spengano nel nulla. Altri schieramenti, oggi marginali, abituiamoci a valutarli meglio una volta che avranno avuto veramente a che fare col mostro. Ne usciranno (la storia ci dice questo) o fagocitati, o isolati e sconfitti oppure ne assaggeranno per un po' i privilegi in attesa della normalizzazione. Soggetti economico-imprenditoriali hanno dimostrato di avere un rapporto di amore-odio con la burocrazia. La detestano quando la stessa manda a monte i propri affari ma spesso, in silenzio e di nascosto, cercano di mettersi d'accordo con essa, anche illecitamente, per fregare i concorrenti. Diciamo poi che in Italia questi soggetti non hanno mai brillato per attaccamento ad interessi superiori o al bene comune. Meglio non illudersi e non fare affidamento su di loro. I sindacati grandi e storici sono in rapporto di interesse con gli alti livelli burocratici. Da uno scambio con essi derivano i residui favori e privilegi che riescono a strappare per conservare gli iscritti da loro rappresentati, che si accontentano sempre di meno, così come quei sindacati li hanno gradualmente abituati a fare. I sindacati piccoli sono stati annullati da una normativa sulla rappresentatività di cui sinora né loro né altri hanno pienamente compreso la natura sostanzialmente ingannevole e antidemocratica (cosa c'è di più autoritario della finta democrazia?). Restano i lavoratori pubblici, cioè noi, per la verità sempre più presi dal problema di campare giorno per giorno più che dalle preoccupazioni sulla sorte della democrazia. Diciamo loro: quando avrete tempo di rifletterci vi accorgerete che in Italia nulla è cambiato e nulla muterà finchè non saranno proprio i lavoratori pubblici a far propria la bandiera della lotta alla burocrazia (già, proprio quella che apparentemente vi dà da mangiare – anche se in realtà è il contribuente che lo fa- e quella nella quale sognate ancora che un domani vostro figlio possa assere assunto tramite un concorso), della battaglia perchè vengano ridotti gli adempimenti per avviare una nuova impresa, per costituire un nuovo rapporto di lavoro, i passaggi per accedere al credito o quelli fiscali. Così come per ridurre e semplificare le leggi e per digitalizzare la pubblica amministrazione. Perchè innanzitutto voi (noi) siamo quelli ad aver bisogno di una giustizia veloce ed efficiente, di servizi alla famiglia veri , diffusi, alla portata delle nostre tasche. Prendiamola allora in mano questa bandiera e muoviamoci, non fidandoci di coloro che dicono che se si riducesse la burocrazia questo significherebbe perdere tanti posti di lavoro impiegatizi. Ci ricattano e ci ingannano, per farsi sempre gli affari loro. Ragioniamo con la nostra testa, guardiamo (almeno su questo) all'Europa e lasciamo al loro destino i demagoghi sindacali , gli unici che hanno interesse a che si perpetui questo sistema perverso, temendo che in caso contrario dovrebbero tornare a lavorare sul serio.

domenica 10 febbraio 2013

PERCHE' IL PRESIDENTE DI UN AUTHORITY NON DOVREBBE ESSERE UN EX POLITICO...

Lo schema di decreto legislativo anticorruzione che riguarda la parte relativa al riordino della trasparenza sul web è stata oggetto dell'esame dell'Authority sulla Privacy, presieduta da un ex politico.
Il risultato è interessantissimo perchè, nell'elencare quali siano i dati non pubblicizzabili e quali quelli pubblicizzabili (e, questi ultimi, entro che limiti) il Garante ha fornito all'opinione pubblica una informazione (questa si completa) di cosa dovrebbe disporre una vera legge anticorruzione che tutti i partiti, peraltro, promettono, in campagna elettorale, di voler approvare nel futuro Parlamento.
Il garante non vuole che si pubblichino i dati sulle consulenze (e relativi compensi) dei pubblici dipendenti.. Inoltre ritiene che vada rispettata la riservatezza dei parenti dei politici. Non solo la moglie di Cesare, quindi, potrà d'ora in poi sentirsi al sicuro da occhi e domande indiscrete sulla propria situazione patrimoniale ma tutta la folta parentela. Inoltre anche ciò che sarà pubblicato lo dovrà essere a termine e/o con limitazioni di accessibilità.Forse perchè , come il pesce, alla lunga la puzza di questi dati possa essere avvertita da tanti, da troppi, anche da quelli con il naso (e non solo quello) chiuso.Via libera invece , riguardo ai dipendenti pubblici, per le retribuzioni tabellari (notoriamente variabili e a sorpresa....) e per i curricula (notoriamente veritieri.....). Se questa presa di posizione ha leggermente interdetto l'attuale Ministro della Funzione Pubblica (di solito imperturbabile ed equilibrato) , come appare dalle dichiarazioni rese alla stampa, significa che effettivamente si tratta di qualcosa di pesante. Nella speranza che dopo le elezioni si cambi rotta nel Paese e nelle Istituzioni, l'AGL , sommessamente, rinnova la richiesta fatta che vengano resi pubblici non solo l'ammontare dei premi ricevuti dai dirigenti della PA ma anche quali obbiettivi raggiunti li giustifichino. Insomma, ci piacerebbe che un domani , come accade per i piloti di Formula 1, il politico (e soprattutto il suo serbatoio = portafoglio) , venga pesato prima e dopo la gara (cioè l'incarico rivestito) per verificare che si sia comportato con lealtà e correttezza. .Nel frattempo, non sarebbe male se il nuovo Parlamento varasse una norma che non consentisse ad un ex parlamentare di essere membro (né tanto meno Presidente) di Authority. Crediamo che il motivo sia evidente...

IL GOVERNATORE DI BANKITALIA PREDICA BENE: MA LO LASCERANNO RAZZOLARE?

Anche noi abbiamo accolto con sollievo le affermazioni del Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco al Forex di Bergamo. In estrema sintesi (non è necessario che si ripercorrano gli antefatti in quanto sufficientemente noti) la Banca d'Italia vuole il prima possibile avere dal Parlamento il potere di rimuovere dai loro incarichi i manager bancari disonesti e invita a trovare il modo di non concedere a coloro di essi che abbiano condotto in rosso i bilanci delle aziende che stanno per lasciare trattamenti di liquidazione super milionari. Bene che si sia arrivati a prese di posizione di questa forza e rilevanza. Ma forse è troppo tardi rispetto a quel che è successo (per esempio in MPS, con l'importante particolare che nessuno, nell'opinione pubblica, è a conoscenza di tutto ciò che è veramente accaduto perchè la Magistratura è ben lungi dall'aver concluso il suo lavoro), non si sa se sufficiente rispetto a quello che sta per accadere (cedole ai soci di Intesa-San Paolo e riconoscimento utili alle Fondazioni in conseguenza di norme appena varate) e forse troppo presto considerando che, anche caduta la credibilità negli attuali vertici di MPS di poter rimediare da soli alla situazione di crisi (per ora hanno iniziato a pagare solo l'ex Mussari e alcuni di seconda fila) , tutti gli altri protagonisti (quelli cioè che dovrebbero garantire, oltre al Parlamento, a Visco di passare dalle intenzioni ai fatti) sono ancora gli stessi appartenenti al Gotha bancario italiano, quello criticato da tutti per gli intrecci perversi con la politica.E sappiamo che se in Italia c'è una cosa che la politica non farà mai è di autoriformarsi per rimediare ai guai da lei creati direttamente o indirettamente per mano degli uomini da essi scelti o ad essa imposti.
Qualcuno ipotizza che quanto fin qui emerso sia solo la punta di un iceberg che racchiude tutto il potere economico e bancario.
Ci permettiamo di suggerire al prossimo Parlamento, al contrario di quanto proposto dal Dott. Visco, di non lasciare in questa fase di emergenza il ruolo di controllore a una istituzione controllata (nel rispetto delle attuali norme di legge, per carità) dalle maggiori banche private italiane (tutte presenti al Forex di Bergamo con i loro massimi vertici) ma di “congelare” l'attuale situazione, far definitivamente accertare dalla Magistratura le responsabilità di ogni soggetto coinvolto, per scongelare poi l'iceberg in maniera controllata , per evitare che qualcuno, interessato, autogestendo lo scioglimento, faccia in modo che qualcun altro possa squagliarsi e squagliarsela dalle proprie colpe e soprattutto dai propri doveri risarcitori nei confronti della collettività.

BENETTON E ELECTROLUX: NEL NORD-EST, I NODI VENGONO AL PETTINE

Le centinaia di esuberi dichiarati da aziende come Benetton ed Electrolux sono la conferma che è in atto nel Nord-Est una svolta decisiva, la transizione a un modello che non potrà più essere quello esaltato negli anni '80 e '90. I nodi sono quelli che da tempo si conoscono: eccessiva tassazione in Italia, tra l'altro non modulabile verso il basso a livello regionale, burocrazia soffocante, infrastrutture insufficienti, impossibilità di imporre dazi sulle merci importate per fronteggiare la concorrenza di paesi con un costo del lavoro enormemente inferiore al nostro. Chi ancora ha voglia di fare l'imprenditore e pensa in grande guarda all'Estremo Oriente (dove tuttavia, avvertiamo, cominciano ad arrivare segnali che ci dicono che prima o poi la pacchia finirà: quindi occhio a comportarsi bene perchè come la vicenda Marò insegna, è molto difficile tirar fuori dai guai chi laggiù ci finisce). Chi si muove con un po' più di prudenza (aspettiamoci che la Fornero prima o poi spari dichiarazioni del tipo “gli imprenditori italiani sono tutti mammoni”) guarda alla vicinissima Carinzia dove (ne abbiamo già parlato di recente ) la tassazione addirittura scende ad un appetitoso 25% ma dove soprattutto le autorità locali stanno creando un ambiente idoneo a ospitare e a poter far riprodurre la specie in estinzione dell'imprenditore italico. La situazione è leggermente caotica perchè , anche in prospettiva post elettorale, è difficile che si affermi un governo che possa lasciare un po' di libertà alle regioni di modulare la pressione fiscale, la classe dirigente locale a parole dice di volere questo ma non ha dimostrato di saper portare la classe imprenditoriale di cui avrebbe voluto essere punto di riferimento a condividere e fare propria una cultura che spingesse a una visione più patriottica (anche se regionalistica) tale da scegliere di combattere qui in Italia anziché lasciare affondare la barca. Difetto, questo dell'irresponsabilità e della spregiudicatezza autolesionistica, storico dell'imprenditoria italiana. Della classe politica, locale e nazionale (tra l'una e l'altra cambia solo la cadenza dialettale ma non il modo sostanziale di vedere le cose) non parliamo ulteriormente, per amor di patria perchè ormai è come sparare sulla croce rossa. I maggiori sindacati (che da politici e imprenditori sono additati come primi e diabolici responsabili del disastro) sappiamo tutti come ormai siano incapaci di altro che di dichiarare scioperi inutili. Ma non per malvagità ma semplicemente perchè ancora non ci hanno capito nulla e sono solo buoni, come il padrone che difende la sua “roba” , a mantenere , illudendolo con ogni artifizio, il proprio gregge di iscritti. In questa confusione , durante lo tsunami che sta spazzando via il tessuto produttivo del nostro Paese, anche nella versione evoluta che si era affermata nel nord est, sappiamo solo che ne usciremo facendo la stessa cosa di coloro che tempo fa deridevamo guardandoli dal nostro piedistallo di terracotta: copiando (perchè quando non sa essere originale così deve fare il mediocre) le cose buone (perchè ce ne sono) che si stanno facendo altrove.

"ARIDATECE" ROBIN HOOD!

Tassa (relativamente) nuova, storia vecchia. Molti di voi avranno letto della denuncia dell'Authority per l'Energia sulla traslazione, da parte di molte aziende del settore petrolifero, gas, elettricità della Robin Tax a danno delle famiglie: si parla di qualche miliardo di euro, anche se sarà compito della Magistratura (se vorrà attivarsi) fare chiarezza sulle reali cifre dell'imbroglio.Ricorderete che la Robin Tax fu introdotta da Tremonti nel 2008 per finanziare la social card . Non vorremmo che a qualcuno venisse in mente di sbraitare contro l'ennesima congiura della lobby degli anziani contro le nuove generazioni. Scherzi a parte, sembra che questa volta alcune di queste aziende, ponendo rimedio alla riduzione del margine di profitto scaricando sulle famiglie consumatrici aumenti ingiustificati, l'abbiano fatta grossa.Il salasso infatti ammonterebbe a una gran parte del gettisto complessivo della tassa. Le associazioni dei consumatori sono scatenate, preannunciano class action che però, sappiamo, in Italia, causa limiti nella legislazione, non hanno la stessa forza dirompente di quelle intentate nei paesi anglosassoni.E' forte, insomma, la sensazione che quei soldi, con gli interessi legali, quelle famiglie difficilmente li avranno indietro.Ma sorge spontanea una domanda: perchè muoversi sempre quando ormai la frittata è fatta? Perchè la maggioranza che uscirà dalle urne (visto che quelle passate non hanno avuto voglia di farlo – ce ne spieghino il perchè in questa campagna elettorale-) non si deciderà a assegnare all'Authority sull'Energia poteri sanzionatori nei confronti delle aziende non corrette e non solo, come di recente ha affermato il Consiglio di Stato (appositamente interpellato) una mera funzione “notiziale”?C'era bisogno della denuncia (impotente) dell'Authority per sapere che in Italia, in questo campo, molte aziende (soprattutto quelle con maggiori agganci politici, fanno un po' quel che gli pare?

martedì 5 febbraio 2013

LIU HAIYAN : NUOVI IMPORTANTI INCARICHI IN AGL

La Prof.ssa Liu Haiyan, già , in passato, dirigente sindacale nazionale di altra Confederazione, entra in AGL e va a ricoprire da oggi i seguenti importantissimi incarichi:
* membro della Segreteria Generale della Confederazione AGL Alleanza Generale del Lavoro
* Segretario Generale della Federazione ALCTEM-AGL (Chimica, Tessile, Energia, Manifatture)
* Segretario Generale della Federazione ALAI-AGL (Agroindustria)
* Responsabile Nazionale Lavoratori Cinesi nell'ambito della ALEI-AGL (Emigrati e Immigrati)
Alla Prof.ssa Liu Haiyan formuliamo i migliori auguri di buon lavoro!

venerdì 1 febbraio 2013

ADESIONE AL MANIFESTO DI CONTANTE LIBERO


DICHIARAZIONE DEL SEGRETARIO GENERALE DELL'AGL,Roberto Fasciani

"Nel complimentarci con i promotori di questa splendida iniziativa, non possiamo che, ufficialmente e pubblicamente, confermare l'adesione della nostra Confederazione al Manifesto di CONTANTE LIBERO che vi invitiamo a leggere sul sito
Cogliamo l'occasione per invitare non solo i singoli cittadini a continuare a firmare l'appello, ma anche tutti i Partiti, i Movimenti, le Associazioni che hanno a cuore la Libertà ad aderire pubblicamente alla suddetta iniziativa, prima delle prossime elezioni, affinchè chiunque le vinca sappia che siamo in tanti e non abbasseremo l'attenzione.

ROBERTO FASCIANI
Segretario Generale dell'A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro"