Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro

Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro
(confederazione sindacale dei lavoratori) codice fiscale: 97624870156; atto costitutivo (e statuto) registrato presso l'Agenzia delle Entrate, DP I MILANO-UT di Milano 1, in data 04/06/2012, serie 3, n.7107- sede naz.le:Via Antonio Fogazzaro 1, sc.sin. 3° piano, 20135 Milano, tel.3349091761, fax +39/1782736932, Whatsapp 3455242051, e-mail agl.alleanzageneraledellavoro@gmail.com ; e-mail certificata: alleanzageneraledellavoro@pec.it

domenica 24 febbraio 2013

CULTURA: PUBBLICO O PRIVATO?

In queste ore gli italiani stanno scegliendo chi li governerà nei prossimi cinque anni e per fortuna l'attenzione è caduta anche sul modo di sostenere la cultura, un bene fondamentale per il nostro Paese. Tanti lavoratori (attuali e potenziali) sono interessati a questo argomento e quindi è bene che anche da parte nostra si esprima un'opinione. Già in passato (e non ci ripeteremo) abbiamo confutato la tesi per la quale, per alcuni, “con la cultura non si mangia”. Sarebbe troppo facile liquidarla dicendo che è “una boiata pazzesca”. Diciamo che è interessante capire da dove essa tragga origine: indubbiamente da una visione rozza e semplicistica dell'andamento e dello sviluppo della nostra società. Purtroppo però la tesi contraria (mangiare con la cultura) pecca di un limite altrettanto grave: identificare la cultura come mantenibile solo a condizione che lo Stato assicuri uno stipendio fisso agli operatori della cultura. Si è fatta strada allora una “terza via” quella di promuovere l'intervento dei capitali privati nella cultura, con un mix di soluzioni a volte rimaste solo a livello di intenzioni a volte con risultati contraddittori e comunque a loro volta oggetto di polemica. La colpa ricade un po' anche sul mondo della cultura italiana che non ha mai perso il vizio di “schierarsi”. Chi ha un po' più di anni sulle spalle e queste vicende le ha seguite fin dagli anni '60 non può però non cogliere un tratto caratterizzante dell'evoluzione di questa diatriba fino ai nostri tempi. Ossia che una volta si combatteva in nome di una ideologia, poi, più avanti, la motivazione era individuabile nell'aver conservato o meno un “ideale”, ora (che sono spariti sia le ideologie che gli ideali) l'essenza di tutto è nei soldi. Si parte dalla propria storia per schierarsi in un limitato ventaglio di partiti, da lì si cercano poltrone, occasioni di lavoro, finanziamenti o, quanto meno, uno stipendio fisso e, sempre per i soldi, si è disposti a fare, in campo culturale, il salto della quaglia, inventandosi crisi di coscienza e susseguenti rivoluzioni di pensiero. Portandosi dietro sempre “il nuovo” come bandiera imprescindibile (ma un po' inflazionata). In sintesi: un processo di scilipotizzazione della cultura italiana. Grazie a dio, in base alla nostra Costituzione, la Cultura è un ambito libero per definizione e, come noto, l'essere umano, essendo dotato di libero arbitrio, può fare e andare dove meglio crede. I lavoratori (attuali ma soprattutto potenziali) del cosiddetto settore culturale hanno ormai imparato (come quelli dell'istruzione o dell'università) a non farsi eccessive illusioni, pur avendo, magari, in tasca uno o più titoli di studio di elevato livello anche se nel contempo col desiderio di incrementare anche la propria esperienza lavorativa e di mangiare, farsi una famiglia o migliorare la vita di quella che già si ha. Noi non abbiamo pregiudiziali ideologiche nei confronti del ritorno (in realtà più o meno ci sono sempre stati) dei Mecenati (i privati) nella cultura italiana oppure nei confronti di meccanismi di incentivazione fiscale che tocchino questo mondo oppure nel rafforzamento dell'intervento di organi pubblici nei tipici casi nei quali l'intervento diretto dei privati sarebbe o inopportuno o improbabile per scarsa convenienza economica. Diciamo solo che non si può ridurre la lotta sindacale nella mera difesa di posti e retribuzioni fisse o di istituzioni decotte perché, anche in caso di vittoria la stessa sarebbe soggetta al futuro ricatto economico dei vincoli alle risorse di bilancio e a quello politico del dover seguire gli input politici della classe dirigente al governo in quel momento e che magari ti ha fatto il “favore” di “salvarti” a spese del contribuente. Non sarebbe più una cultura veramente libera, quindi. D'altro canto non crediamo sia necessario, per l'ennesima volta, richiamare quali siano gli enormi pericoli per la cultura derivanti da un eccessivo, incontrollato e selvaggio ingresso dei privati . Non parliamo poi della nefasta esperienza della lottizzazione politico-partitica di tante istituzioni culturali. E ovviamente non si può chiedere a un sindacato che abbia a cuore gli interessi dei lavoratori e dei cittadini meno abbienti di non indicare questi pericoli, di non intervenire per ostacolare certi processi e operazioni speculative. Anche i lavoratori della cultura, se si ritengono veramente portatori di istanze decisive per una società migliore, devono cominciare, su queste questioni (che riguardano il prosieguo o i presupposti di una loro eventuale attività lavorativa) , a pensare e scegliere più con la loro testa che con quella dei partiti, dei sindacati, degli enti e istituzioni nei quali fino ad oggi hanno creduto e a cui in parte hanno affidato il loro destino. E dire se per loro è più importante considerare come traguardo il posto e lo stipendio fisso oppure iniziare a rischiare con tutti quei cittadini che, da altri punti di partenza, sono rimasti anch'essi esclusi da una prospettiva di sicurezza. Come possono pensare i lavoratori della cultura di affermare che la cultura è libertà vera delle menti e condivisione di assetti più avanzati di convivenza civile se continuano ad affidare e a incanalare le proprie speranze in organismi che li hanno sempre mal sopportati e trascurati e che nella migliore delle ipotesi cercano di tener buoni con uno stipendio fisso (temporaneo) o con finanziamenti clientelari alle loro iniziative? E non instaurando invece un dialogo vero con tutti i cittadini, anche quelli politicamente e socialmente più distanti da loro?Ecco la soluzione quindi: non cadete nel ricatto occupazionale, stipendiale e dei finanziamenti, impegnatevi a interagire con tutti i cittadini (soprattutto con coloro oggi più distanti da voi) scavalcando i vostri finti sostenitori e sostenendo le idee di quell'intellettualità che da tempo individua modelli diversi e alternativi di sviluppo, culturale e materiale.