Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro

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domenica 3 marzo 2013

DIRIGENTI: SHOCK OCCUPAZIONALE, CRISI PSICOLOGICA.ANCHE OBIEZIONE DI COSCIENZA?

Da anni la categoria dei dirigenti è stata considerata di fatto protetta e super garantita. In particolare la libera recedibilità non ha mai significato maggiore esposizione ai licenziamenti. Anzi. Per antonomasia, durante le tempeste economiche e le crisi produttive, erano sempre coloro che erano sul ponte della nave (lavoratori manuali e impiegati) ad essere spazzati via dalle ondate mentre la testa delle aziende, ben riparata in plancia, la faceva sempre franca. Ebbene, anche questo in Italia è cambiato, in fretta. Si parla di 10.000 dirigenti che hanno perso il posto di lavoro nel 2012 , di 60.000 dal 2006.
E' vero che quando ciò accade, dal punto di vista individuale, si tratta di un dramma non paragonabile, neppure lontanamente, a quello della perdita del lavoro da parte di un operaio o di un impiegato. Perchè il dirigente aveva uno stipendio di diverse volte superiore a quello di sussistenza (ossia a quello dell'operaio), perchè se, come capita spesso, i lauti guadagni sono stati investiti in maniera oculata (e i dirigenti hanno la cultura per farlo) , la riserva di sopravvivenza non si esaurisce in breve tempo ma può consentire di affrontare con calma la ricerca di un nuovo posto di lavoro. Perchè, sempre che non si tratti di un dirigente raccomandato (e quindi più ignorante dei propri dipendenti) si presuppone che lo stesso abbia una cultura di base e una professionalità superiore alla norma e quindi spendibile nella ricerca di un nuovo lavoro.
Ma anche qui qualcosa è cambiato, facendo precipitare nell'incertezza e nell'inquietudine molti dirigenti che hanno perso il lavoro e intimorendo, nei confronti delle rispettive proprietà, quindi rendendo più ricattabili, i manager che sentono odore di possibile esonero. Ciò nel privato, ma anche nel pubblico, al netto delle cordate e protezioni politiche, dato il processo di privatizzazione (seppure all'italiana) dei rapporti di lavoro, non sono infrequenti accadimenti traumatici attutiti per lo più però, in conseguenza delle fonti informative messe a disposizione da parte di chi ti mise su quella poltrona, da trasferimenti strategici da una Amministrazione all'altra che implicano la sostanziale stabilità della posizione dirigenziale. Ovviamente, in questo quadro, nel pubblico, i principi di trasparenza, efficienza, efficacia e raggiungimento dei risultati posti, diventano molto, molto relativi. A proposito (lo facciamo in ogni nostro intervento riguardante la dirigenza pubblica) siamo ancora in attesa che sui siti istituzionali, oltre alle retribuzioni tabellari e ai curriculum, vengano non solo riportati i premi percepiti da ciascuno ma anche , ex post, quali siano stati gli obbiettivi raggiunti che li abbiano giustificati. Soprattutto relativamente a quelle Amministrazioni nelle quali i dirigenti, tutti i dirigenti, prima delle elezioni, sono stati premiati a pioggia. E sempre per inciso, a dimostrazione che i tempi stanno cambiando, abbiamo ascoltato con attenzione, successivamente al risultato elettorale, l'intervento dell'On. Maristella Gelmini (le cui quotazioni nel PdL stanno salendo vertiginosamente, tanto che oggi di lei si parla come futuro Vice Presidente del Consiglio del Governissimo guidato, si mormora , da Matteo Renzi) la quale, analogamente a quanto fino ad oggi si faceva solo per i calciatori, ha evidenziato la spropositata retribuzione dei dirigenti pubblici rispetto ai normali dipendenti (anche questo un nostro vecchio cavallo di battaglia: non perchè si sia contrari per principio a ciò ma perchè sono troppo bassi gli stipendi degli altri dipendenti pubblici e perchè, questo Paese, per un po' di tempo, per riprendersi, avrà bisogno che, per i propri privilegi, né i politici né i dirigenti vengano odiati dalla popolazione che vive ben altra realtà di sacrifici).
Nel privato sono più avanti nella risoluzione di queste contraddizioni. Chi segue l'attività delle associazioni di dirigenti nostre concorrenti sa come le stesse da mesi denuncino il cosiddetto “downgrading”. Ossia la sostituzione, nell'ambito delle attività “core” dell'impresa del dirigente con un quadro. Un po' come se nel pubblico (non ci crederete ma era così fino alla sciagurata riforma del 1993 ) la stessa attività di direzione fosse svolta da un direttore pagato al massimo il doppio dell'impiegato o addirittura dal funzionario apicale (una volta si chiamavano IX livelli) addirittura con uno stipendio più basso. Non è raro che, a differenza che nel privato, il patrimonio culturale, il titolo di studio e la professionalità del dipendente pubblico sia inversamente proporzionale al livello di appartenenza (è noto, sono proprio i dirigenti più bravi a ricordarlo nelle loro conferenze, che in una nave il soggetto più importante è il motorista e non il comandante) e ciò dovrebbe rassicurare tutti sulla praticabilità, nel settore pubblico, di tale strada. Nel privato questi processi sono più semplici dato che c'è il profitto come metro di paragone e supremo giudice delle capacità esplicate.
Vita più dura, quindi, per il manager il quale deve ricollocarsi, diventare più flessibile, spesso accettare un posto di quadro, rischiare di più in aziende più dinamiche, lavorare in aziende meno strutturate dove è maggiore il protagonismo e quindi l'invadenza della proprietà e quindi dell'imprenditore che, rimettendoci di suo, va poco per il sottile. Rimane l'estero? Magari. I nostri dirigenti non sono ancora sufficientemente competitivi a livello europeo o mondiale (si intende: nel mondo sviluppato). In Italia abbiamo però la cara, vecchia Pubblica Amministrazione in cui è possibile, entrando nelle grazie di qualche politico o padrino ministeriale, agguantare una poltrona, apparentemente a tempo determinato, spesso, di fatto, a vita. In teoria dovrebbe esserci un flusso bidirezionale in campo dirigenziale, tra pubblico e privato. In realtà è unidirezionale: dal privato al pubblico (o finto pubblico) con biglietto di sola andata.
Con costi tuttavia insopportabili e crescenti per il contribuente. Tanto che si teme l'arrivo anche lì dello tsunami. Che fare? Aspettare o ribellarsi a questo assetto iniquo, alleandosi con i cittadini, dimostrando che il dirigente pubblico è innanzitutto un servitore dello Stato? E cosa c'entrano con lo Stato e la Costituzione comportamenti arbitrari e illegali che rileviamo da anni nella P.A.? Nulla evidentemente e vanno combattuti. Ma non da tutti indistintamente ma , sarebbe ora, da chi casualmente si trova in prima linea, strettamente a contatto con il malaffare amministrativo. Una pubblica Amministrazione in queste condizione ha già effetti letali per molta parte della popolazione. Vogliono i dirigenti collaborare con questa ingiustizia criminale o essere i protagonisti del cambiamento? Hanno solo un modo di fare ciò. Diventare obiettori di coscienza, denunciare i misfatti della classe dirigente , essere i primi a fare pulizia all'interno delle loro amministrazioni disobbedendo a chi vorrebbe farne strumento della prevaricazione. Prima che sia troppo tardi e che l'ira popolare spazzi tutto via.