La vicenda della Bridgestone dovrebbe
svegliare i lavoratori pugliesi da un lungo sonno nel quale si sono
generate varie tipologie di mostri: imprenditoriali, politici,
sindacali e amministrativi. E' ovvio che un annuncio così improvviso
abbia spiazzato tutti. Quello che invece è sospetta è la
solidarietà pelosa di tutti gli altri soggetti di cui sopra e il
polverone mediatico. Come se qualcuno avesse interesse ad aumentare
la confusione temendo che, a partire dalla riunione che si terrà il
14 marzo al Ministero dello Sviluppo Economico (come del resto
avvenuto per tutte le altre crisi aziendali) emergano, dai dati
presentati dalla multinazionale giapponese, responsabilità precise
della classe dirigente italiana e dei suoi sodali sindacali e locali.
E la Puglia non è una regione qualsiasi, lo si è visto nelle
recenti tornate elettorali, lo si è cominciato a capire dalla
vicenda dell'ILVA di Taranto. Questa regione può diventare, è
l'impressione di tutti gli osservatori, il casus belli, l'inizio
della fine per il sistema italia, l'epicentro della scossa che
scatenerà lo tsunami definitivo.Era meglio che l'annuncio fosse
stato dato o no, relativamente alle intenzioni? In queste cose non è
meglio la chiarezza piuttosto che il solito minestrone all'Italiana?
E come mai il propagandato nuovo modello di sviluppo concepito da
colui che governa la regione da otto anni, dopo tutto questo tempo
non ha saputo creare alternative locali allo sviluppo portato dalle
multinazionali? Ci auguriamo che alla fine la Bridgestone non chiuda
ma auspichiamo anche che esca fuori la verità sul motivo della
decisione dell'Azienda in modo che chi sarebbe esposto alle peggiori
conseguenze possa trarre le sue conclusioni sulle capacità dei
sindacati che ha scelto come rappresentanti e dei politici che ha
scelto come amministratori locali, parlamentari e ministri di pensare
a idee alternative di sviluppo che creino posti di lavoro durevoli.