Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro
sabato 30 marzo 2013
lunedì 25 marzo 2013
DANIEL PLESEA RESPONSABILE AGL ROMANIA
Daniel Plesea ( è stato nominato responsabile nazionale lavoratori romeni dell'ALEI-AGL. A lui i più grandi auguri di buon lavoro. Visitate il sito dedicato, http://agl-europa.blogspot.it .
domenica 24 marzo 2013
LOMBARDIA: NELL'ATTESA DEL NUOVO, AI LAVORATORI NON RESTA CHE PIANGERE
In Lombardia, da qualche settimana, c'è
un nuovo governatore il quale , forse memore della lontana esperienza
come Ministro del Lavoro, ha inaugurato il proprio mandato
incontrando i dirigenti regionali della Triplice sindacale (alla
faccia della novità). I quali, quasi sorpresi da tale apertura ed
esposizione mediatica, non si sono risparmiati in complimenti ed
apprezzamenti. Pur facendo presente che si aspettano da lui
fondamentalmente soldi per tamponare l'emergenza sociale che, se
andrà avanti di questo passo, rischia di mettere in discussione
l'esistenza delle istituzioni nazionali e locali nonché degli stessi
sindacati storici.
Qualche organo di stampa, evocando la
consapevolezza che da sempre si ha a Milano di essere un po' il
laboratorio di tutto quanto sa produrre di nuovo il Paese, ha cercato
di personalizzare questa chance di ripresa, individuando le presunte
punte di diamante, coloro che in un futuro lontano ricorderemo
(speriamo!) essere stati protagonisti della salvezza. Un po' come
quelle squadre che, avvicinandosi i mondiali, mettono in vetrina i
loro campioni. Sappiamo però non essere infrequente che qualcuno di
essi, alla fine della rassegna, deluda , a vantaggio, magari, di
qualche altro protagonista che emerge all'improvviso da dietro le
quinte. Una delle caratteristiche dei nostri tempi è l'assunzione
dell'”impresa” quale bene assoluto. Una volta si era consapevoli
che qualsiasi evoluzione non avrebbe potuto verificarsi senza un
contributo determinante del mondo del lavoro, inteso come quello dei
dipendenti (all'epoca gli atipici non erano diffusi come ora) . Oggi,
addirittura, viene , consciamente o meno, identificato il mondo del
lavoro e della produzione come costituito unicamente dalle imprese o
dagli imprenditori. Il lavoro dipendente o precario viene percepito
come una palla al piede, gente incapace di farsi da sé, che accampa
solo diritti e si rifiuta di accettare doveri, che vuole essere
mantenuta, appunto da chi produce e tira la carretta. Ne discende la
svalutazione di tutti coloro che, ad esempio, dirigono i sindacati,
conferendo eventualmente, piccoli riconoscimenti solo a quei
sindacalisti più responsabili, disponibili al dialogo e al
compromesso con quello che una volta si chiamava padronato. Il nostro
non è ancora un paese straccione e non c'è dubbio che gran parte di
coloro che compongono la classe dirigente imprenditoriale conservano
un portamento e dei modi che ancora fanno intravvedere le tracce di
quella che tempo fa si chiamava aristocrazia industriale. Sempre in
Lombardia, anche la politica, più velocemente che altrove (siamo a
Milano, no?) ha saputo cambiare volto (solo quello). L'attuale
presidente ha ormai una lunga storia politica ed istituzionale e
certe uscite ed episodi rivoluzionari sono solo un lontano ricordo.
Sembrerebbe, quindi, uno schieramento pienamente all'altezza dei
compiti che l'attendono. Ma qualcosa ci dice che questa è soltanto
una speranza che ha poca possibilità di trasformarsi in realtà.
Anche se nel salone i balli sono ripresi, l'iceberg si avvicina e i
condottieri, per storia personale, non sono, ad una attenta analisi,
così rassicuranti. Ad esempio un tratto che li accomuna è quello
di essere dei superstiti della bufera che ha colpito i loro partiti e
associazioni. E, come accade spesso, non sono sempre i migliori a
sopravvivere ai disastri. Uno, ad esempio, è scampato a una mancata
estinzione del proprio movimento, presente solo in una parte del
paese e con obbiettivi perseguiti solo a parole ma lontani dal
tradursi in fatti, dopo una ondata di scandali e sospetti di
inquinamento ad opera della criminalità organizzata, dovendo fare
fuori un capo vecchio, stanco e malato in fretta e furia, senza un
convincente ricambio della classe dirigente. Tanto che il vecchio
governatore , appartenente agli alleati/rivali, dopo vent'anni ha
lasciato ma sarà difficile che il sistema di potere edificato lasci
poi così libero di agire chi è subentrato. Un altro si è visto
proiettato ai vertici della sua Associazione, pur , per sua
ammissione, non possedendo i requisiti del leader carismatico, dopo
la fine del mandato di una presidentessa tanto sensibile alle sirene
politiche montiane quanto incapace di cogliere il tentativo, da parte
del top manager della più grande industria italiana , solo per
perseguire interessi del proprio gruppo, di delegittimare la ragion
d'essere di quella storica associazione. Un altro di essi a sua
volta subentrato , non di recente, non per meriti propri ma per
tamponare il vuoto di un predecessore dimissionario coinvolto in
scandali e vicende giudiziarie : Egli verrà ricordato solo per
essere stato protagonista di un processo di unificazione delle
confederazioni del commercio e dell'artigianato che ha prodotto un
entità che oggi conta meno della somma degli addendi, categorie con
le quali nessun governo ha mai stretto accordi in prima battuta ma ha
solo e sempre chiesto la ratifica (irrefutabile) di intese già
raggiunte con soggetti datoriali ben più potenti. Un altro ancora,
fresco di nomina, è stato arruolato a causa dei problemi giudiziari
dell'ex presidente relativi al periodo in cui egli era a capo di uno
dei primi tre gruppi bancari del paese e oggi non trova di meglio
che prenderci in giro dichiarando da una parte che vorrà banche
indipendenti dalla politica e, subito dopo, che le stesse
perseguiranno interessi sociali tramite le fondazioni (che tutti
sappiamo essere il veicolo di influenza di certi partiti sulle banche
stesse).
Tutti questi signori,
rispettabilissimi, non ci spiegano però come sarà possibile, in
queste condizioni, che la Lombardia abbia dallo Stato e dal Governo
le risorse da redistribuire (seppur le promesse, alle parti sociali,
sono state già fatte) e cosa intendano proporre, di nuovo, nelle
relazioni sindacali, sempre che si sia convinti che un qualche
contributo, dal mondo del lavoro, quello vero, sia necessario e
desiderato. Poichè, forse non tutti se ne sono accorti, con questa
storia della CGIL e della FIOM che dicono no a tutto (e bloccano
qualsiasi modernità) da una parte e , dall'altra, che gli unici
sindacati buoni (come gli indiani) sono quelli morti (ossia quelli
che firmano con loro accordi in danno dei lavoratori) l'economia è
ferma, i soldi non si vedono più, i giovani laureati emigrano e in
mezzo rimangono lavoratori, famiglie e micro imprese con i mesi di
vita contati. Se sono questi coloro a cui dovremo affidare la ripresa
della Lombardia e dell'Italia allora potremo stare davvero freschi.
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EMERGENZA SICUREZZA: FACCIAMONE UNA GRANDE OCCASIONE OCCUPAZIONALE
Tutti abbiamo appreso dei fatti di
cronaca che hanno innalzato al livello di guardia la domanda di
sicurezza, soprattutto nelle grandi città. Ultimo di essi,
l'efferato omicidio dell'orefice a Milano.
Non c'è più tempo per le riflessioni:
i commercianti hanno fretta di vedere tutelati la loro vita e il loro
lavoro. E hanno ragione. Lo Stato e la Politica, anche su questo
versante, risultano inadeguati e inconcludenti. Non ci si può più
accontentare delle rituali dichiarazioni agli organi di stampa.E per
favore, risparmiateci le strumentalizzazioni di parte: tutti i
cittadini meritano sicurezza, indipendentemente che siano
commercianti o operai, italiani o stranieri, poveri o ricchi.E' ora
di finirla di demonizzare l'intervento dei privati nella vigilanza,
l'uso delle armi per difesa personale da parte dei cittadini che
abbiano i requisiti per possederne, l'uso intelligente della
videosorveglianza. Quanto alle forze dell'ordine, le stesse vanno
meglio attrezzate, retribuite e organizzate. Ma rassegnamoci al fatto
che in società di massa non è possibile mettere un poliziotto di
scorta per ogni cittadino a rischio e pertanto una diffusione
controllata delle nozioni e degli strumenti di difesa personale è il
futuro, da affrontare e gestire serenamente. Esistono fasce di
cittadini (tra cui proprio i commercianti) disposti a spendere per la
loro sicurezza, facciamo in modo che queste risorse vengano impiegate
per far crescere l'occupazione delle aziende che si occupano di
vigilanza e di fabbricare armi per la difesa personale. Come già
avvenuto in altri paesi, anche più piccoli del nostro ma più
esposti a rischi diffusi, abituiamoci ad una educazione di massa
all'uso consapevole delle armi prima che si crei il paradosso che il
malintenzionato abbia libero accesso ad esse, contrariamente al
cittadino indifeso. E tutto ciò, nel rispetto della coscienza di
ognuno, sia una libera scelta e non un obbligo. Non significa quindi
scaricare dalle spalle dello Stato precise responsabilità ma
metterlo in condizione di intervenire più efficacemente là dove sia
più opportuno e necessario. Come usiamo dire spesso, cerchiamo di
non essere pure su questo il fanalino di coda dell'occidente. Chi si
scandalizza di ciò vive su un altro pianeta e spesso è il più
scortato e tutelato di tutti. Evitiamo di aspettare passivamente
l'uccisione del prossimo commerciante, della prossima ex fidanzata o
la prossima strage nell'asilo da parte dello squilibrato di turno.
sabato 23 marzo 2013
CREDITI DELLE IMPRESE FORNITRICI NEI CONFRONTI DELLA P.A.: CI SIAMO DIMENTICATI L'ISTITUTO DELLA “COMPENSAZIONE” TRA CREDITI E DEBITI VERSO L'ERARIO?
Qualche tempo fa evocammo una bufala
per qualificare la novità della Srl “senza spese notarili “(ma
con carico fiscale intatto) . Ecco possiamo ora dire che grazie a
Passera quella bufala ha trovato il marito: il “rimborso” alle
imprese dei crediti vantati nei confronti delle Pubbliche
Amministrazioni. E' un coro di lamentele e delusioni da parte di
tutte le organizzazioni datoriali e le grandi e piccole imprese.
Perfino l'ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha preso coraggio e
dopo la bufera Mussari il nuovo presidente ha sfacciatamente
partecipato al coro criticando il governo. Come si diceva in campagna
(continuiamo nel filone zootecnico”) è un po' “il bue che dice
cornuto all'asino”.
Ma ciò che è più comico è il
seguito. Data per scontata l'impossibilità di trovare i soldi
occorrenti per tener fede alla promessa (che, al contrario della
restituzione dell'IMU, era stata fatta da tutti in campagna
elettorale) è un fiorire di ipotesi su quale sia il soggetto cui
infliggere il salasso. In particolare ora si parla delle entrate dei
Comuni e delle Regioni (non si parla per pudore delle provincie che
tutti danno per abolite e invece sono ancora lì come se niente
fosse).
Nessuno ricorda invece che il problema
sarebbe già risolto se si consentisse piena e generalizzata
applicazione di un principio di civiltà da anni recepito nella
nostra normativa: la possibilità che il contribuente (tali sono le
imprese di cui si parla) possa compensare i debiti verso l'Erario con
i crediti vantati nei suoi confronti. Certo, diminuirebbe di colpo il
gettito e questo non potrebbe permetterselo una macchina burocratica
ipertrofica e autoreferenziale, difetti dei quali abbiamo parlato più
volte in altri interventi. Indicando anche la soluzione:
riorganizzando da zero la Pubblica Amministrazione, costringere le
banche, se necessario minacciandole di esproprio, a concedere credito
alle imprese, smetterla di ammazzare di tasse il Paese. E se fosse
proprio questo l'oggetto del contendere e il motivo dello stallo
politico?
PERCHE' , NELL'INTERESSE DEI LAVORATORI, SAREBBE UTILE CHE GRILLO, SE ALL'OPPOSIZIONE, INIZIASSE A COSTITUIRE UN “GOVERNO OMBRA”
Si ha la sensazione che un po' tutti in
Italia si sia vittime di una illusione ottica. Si guarda il dito
(l'incapacità dei tre schieramenti e mezzo di mettersi d'accordo) e
non si osserva la luna: la realtà di un Paese spaccato socialmente e
che non può trovare un compromesso in economia. La via d'uscita non
è in un accordo tra partiti (poiché essi rappresentano solo una
società politica allargata) ma tra componenti antagoniste della
società italiana che induca i partiti a svolgere il loro compito di
sintesi politica.
La vicenda dei crediti delle imprese
nei confronti della Pubblica Amministrazione è esemplare. Non ha
funzionato la ricetta di Monti (far scontare questi crediti dalle
banche le quali si sono tirate indietro perchè, a differenza del
passato, oggi lo Stato è valutato come un soggetto inadempiente),
non ha convinto la soluzione Grilli innanzitutto Confindustria ma
anche le altre rappresentanze imprenditoriali. Con i tempi che
corrono, occorre veramente una gran faccia tosta a stampare titoli
del debito pubblico e a tentare di pagare con quelli, anziché con
soldi veri, imprese ormai alla canna del gas. Senza contare poi i
tempi di pagamento eccessivamente lunghi (18 mesi) e il fatto che il
pagamento non sarebbe completo ma solo il 20% del necessario. Come
scusante per il governo (uscente?) c'è senz'altro da dire che lo
stesso ha il compito di sbrigare solo gli affari correnti in attesa
di passare la mano al nuovo. Ma per gli osservatori e per coloro che
incrociano le armi della dialettica su questa questione non ci sono
scusanti. Se lo Stato non ha più soldi veri in generale da spendere
non si capisce come e con quali risorse potrebbe pagare i 48 miliardi
chiesti da Squinzi. Noi, modestamente, avevamo evidenziato la
contraddizione già la settimana scorsa. Possiamo capire il gioco
della polemica politica ma vorremmo ricordare che da un po' di tempo
ci sono imprenditori e lavoratori che si suicidano perchè le loro
aziende vanno in rovina e ciò non senza colpe da parte della
politica e della pubblica amministrazione. Quindi non scherziamo. Su
questa questione è chiaro come vi sia una tensione tra burocrazia da
una parte (rappresentata politicamente da chi sappiamo) e mondo della
piccola impresa (a sua volta rappresentata da un altro schieramento)
. Quella dei fondi per gli ammortizzatori sociali (che si dice si
esauriranno entro l'estate) è un'altra bomba ad orologeria.
Finanziarli significa dover aumentare le tasse, ma aumentarle
significa spingere ancor più nel burrone quelle aziende che hanno
esubero di lavoratori. Anche qui si registra una tensione tra mondo
delle imprese da una parte , lavoratori, burocrazia. Tre soggetti che
stanno affogando, che per salvarsi cercano di appoggiarsi sugli altri
due. Tra i tre quella che ha maggiori possibilità di salvarsi
nell'immediato è la più grassa, quella che galleggia meglio. Ma
alla lunga, senza ripresa della produzione, dei salari dei consumi e
del gettito, anche il suo destino sembra segnato. Iva e Imu , la loro
modulazione, ripropongono lo stesso duello. Non si può chiedere ai
partiti (o ad alcuni di essi) di “decidersi”, di provare a
governare assieme se prima non si risolve a monte questo conflitto di
interessi. Nel quale, purtroppo, il mondo del lavoro sembra
incastrato dalla storica convergenza e alleanza di fatto (e
sintetizzata all'interno di un preciso schieramento) tra lavoratori e
l'insieme degli interessi dello Stato e della burocrazia. Altre forze
hanno dimostrato di intuire questo stallo ma di non essere ancora in
grado di proporre al Paese una sintesi praticabile. Non è un
problema di percentuali né di esperienza, ma di identità: se si è
o vuole essere soggetto rivoluzionario nel panorama politico occorre
pagare un prezzo in termini di spendibilità nelle istituzioni o nel
governo. Nelle democrazie anglosassoni, le più antiche, esiste un
istituto, quello del “governo ombra” che obbliga l'opposizione a
formare nelle sue fila un governo parallelo che dimostri, con la
serietà delle proposte di essere una seria alternativa al governo in
carica, preparandosi al proprio turno. Oggi in Italia abbiamo una
presenza che si propone, a suo modo, come una alternativa , non solo
politica ma di sistema. Tutto molto bello ma il problema è che nel
frattempo il Paese sta morendo e, in buona parte dell'elettorato, si
sta insinuando il dubbio se sia stata una buona scelta quella di
produrre uno shock politico di tale portata. Si parla di proposte
valide ma dalla dubbia copertura finanziaria e organicità. Quindi
realizzabilità. Purtroppo questo non è il momento di sognare, ma di
“fare”, innanzitutto nell'interesse dei lavoratori che faticano a
intravvedere l'uscita dal tunnel. Non sarebbe ora che la principale
forza di rottura emersa dalle elezioni dimostrasse ai lavoratori la
propria concretezza formando un”governo ombra” che ci faccia
toccare con mano la serietà di determinati intenti, abilmente
esposti in una magistrale campagna elettorale?Chissà che non possa
servire per far decidere i dubbiosi e per farci uscire
dall'inconciliabilità tra i sopra evocati interessi sociali opposti
, retrostanti agli attuali schieramenti politici.
TURISMO, SERVIZI, APPRENDISTATO: ULTIMA OCCASIONE
Dai dati di ISTAT e Confcommercio resi
pubblici nei giorni scorsi, anche se ad occhio si percepiva che da
quattro anni, ogni giorno, 615 cittadini italiani diventano “poveri”,
emergono, per chi abbia veramente intenzione di risollevare il nostro
Paese, due precise cose da fare, nell'economia e nel mondo del
lavoro.
La prima: prendere atto che l'avanzo
positivo tra esportazioni e importazioni si registra per merito di
due precisi settori: il turismo e i servizi. E questi sono quelli su
cui puntare, sacrificandone altri ormai in decadenza. Già in
precedenti interventi l'AGL , trattando di crisi come quelle
dell'ILVA, dell'ALCOA e del Carbosulcis o del drammatico ritardo del
nostro Meridione, aveva assunto una chiara posizione: è ora di fare
delle scelte guardando in faccia alla realtà. Così, prima di noi,
hanno fatto e stanno facendo altre economie nostre concorrenti, è
ora che ci si dia una mossa. E là dove la politica, per la fase di
stallo che si sta verificando, non ne fosse capace, occorre che la
responsabilità venga assunta dalle forze sociali, dei lavoratori e
imprenditoriali. Gli ammortizzatori sociali sono una necessaria
temporanea medicina ma nulla comportano in termini di correzione di
rotta sulla via dello sviluppo. Quindi ripetiamo quanto detto,
facendo l'esempio dell'ILVA (ma stesso criterio potrebbe essere
adottato in altri casi analoghi, presenti e, sicuramente, futuri).
L'industria dell'acciaio e del carbone in Italia non ha futuro.
Riconvertiamo e dirottiamo sul turismo le forze occupazionali
presenti. Investiamo le poche risorse rimaste nei nostri tesori
naturali e artistici, facciamo dell'Italia la Florida d'Europa. E (il
tema ha avuto successo elettoralmente per chi l'ha proposto) aboliamo
i tagli all'istruzione, alla formazione e alla cultura, impiegando le
risorse non nel mantenimento di burocrazia, parassitismo e posti
clientelari ma in digitalizzazione . Solo investendo in formazione
potremo raccogliere, a breve e medio termine, risultati nella
competizione nei servizi di alta qualità. E vincere la sfida del
futuro: l'export di prodotti ad alto valore aggiunto verso i Paesi
“Brics” e “Next Eleven” .Occorre poi (è la seconda cosa da
fare subito) riorganizzare da zero l'apprendistato in Italia, sul
modello tedesco. In estrema sintesi occorre compiere una operazione
di chiarezza e lealtà. L'apprendistato in Italia non funziona poiché
dalle imprese è visto come una operazione di puro e semplice
risparmio di imposte e contributi e di ricattabilità della forza
lavoro. Dai sindacati è tollerato in quanto consente di mantenere
per altro tempo il gregge di lavoro subordinato da mungere per
perpetuare l'esistenza stessa dei grossi sindacati. Come accade
sovente nel nostro Paese, è la versione “all'italiana” di cose
che all'estero funzionano a fallire, togliendo a tutti la speranza
che qualcosa possa cambiare. Siamo ancora in attesa che chi ha
ricevuto maggiori consensi alle elezioni dimostri di volere e sapere
fare il lavoro per cui è stato “assunto” , guadagnandosi il
cospicuo stipendio. Se continueremo così, il problema si risolverà
da solo perchè tra poco non esisterà più neanche l'Italia.
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venerdì 22 marzo 2013
SABATO 23.3.2013, ORE 17, MILANO, IL SEGRETARIO GENERALE INCONTRA I LAVORATORI FILIPPINI
Domani, sabato 23.3.2013, alle ore 17, presso la sede AGL di Milano, il Segretario Generale dell'AGL Roberto Fasciani incontrerà i lavoratori e le lavoratrici filippine.
domenica 17 marzo 2013
L'ANCI HA RAGIONE: SBLOCCHIAMO I PICCOLI CANTIERI
In Italia 20.000 cantieri sono fermi
per colpa del patto di stabilità interno.Nove miliardi di euro
fermi che se sbloccati potrebbero aiutare i consumi delle famiglie e
la salute delle imprese.
Ci associamo all'appello dell'ANCI
Associazione dei Comuni Italiani. I Comuni sono pronti a sforare il
patto di stabilità. L'Anci farà una manifestazione il 21 marzo a
Roma per protestare contro il Patto di stabilità interno . L'AGL
aderisce a tale iniziativa che punta ad ottenere una deroga una
tantum a livello europeo visto che abbiamo un avanzo primario tra i
migliori dei paesi europei. Dunque, un rinvio del pareggio di
bilancio.
ECONOMIA: SAPER DISTINGUERE TRA FALSE E VERE SOLUZIONI
Concordiamo con chi osserva che la pur
vituperata cura Monti stia producendo, a confronto con altri paesi,
pure indebitati meno di noi, un miglioramento relativo della nostra
situazione, facendo riferimento al tasso di crescita del debito, al
debito aggregato, alla solidità patrimoniale e all'avanzo primario.
E ci richiama al rischio che una minore crescita del debito, però,
possa condurci ad una maggiore recessione. Pure sul fatto che la
maggiore pressione fiscale porti a minore competitività e minori
consumi. I dati della nostra industria manifatturiera, della
meccanica, dell'agricoltura, rapportati a quelli della concorrenza
internazionale, sarebbero confortanti se non fosse per il crollo del
nostro mercato interno e per lo svantaggio fiscale comparato delle
nostre aziende. La soluzione potrebbe essere quella di forzare i
vincoli europei accelerando i pagamenti alle imprese dei debiti della
PA e frenare la pressione fiscale. Ma quest'ultima , se attuata,
comprometterebbe, riducendo il gettito, la possibilità, per lo
Stato, così come organizzato (male) di effettuare i primi. Ecco
perchè riteniamo che le vere soluzioni siano due: riorganizzare da
zero la Pubblica Amministrazione perchè è solo lì che possono
aversi veri risparmi e combattere e vincere la guerra contro il
credit crunch iniziando, come Stato, a minacciare di esproprio e
nazionalizzazione le imprese bancarie che perseverassero in questa
condotta restrittiva del prestito alle imprese e alle famiglie. E'
questa la vera, ultima battaglia, da vincere per riappropriarci del
nostro destino. Più urgente della riforma elettorale (che non
faranno), della riduzione dei costi della politica (importante per il
segnale, non per le quantità) e dell'inseguimento di fantasmi
analoghi.
La discriminante vera dello scenario
politico nell'immediato futuro sarà tra chi vorrà veramente
combattere questa guerra nello Stato e nelle Banche e chi non avrà
interesse a farlo, resistendo passivamente e in maniera
opportunistica ed attendista. Il contesto potrà essere di ripresa
dalla crisi o , come si mormora, di fallimento e rovina, ma questo
non è prevalentemente nelle nostre mani. La battaglia interna,
invece, si.
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AUGURIAMO BUON LAVORO AI NUOVI PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO. SI IMPEGNINO A FAR APPROVARE CON URGENZA L'AMNISTIA E UNA SANATORIA DI TUTTI GLI STRANIERI IRREGOLARI CON LA CHIUSURA DEI CIE
Finalmente le due Camere neoelette
hanno compiuto il loro primo atto. L'elezione dei rispettivi
presidenti, due personalità di indiscutibile prestigio: Laura
Boldrini (ex Alto Commissario dell'ONU per i rifugiati) e Piero
Grasso (ex Procuratore nazionale anti mafia). Ci sono piaciuti i loro
discorsi di insediamento nei quali è trasparita l'emozione per avere
da oggi la possibilità di portare a un più alto livello
istituzionale di impegno gli ideali per cui si sono battuti per una
vita. Non è un caso se su queste due personalità si sia formata
(per alcuni a sorpresa) una maggioranza (lasciamo perdere, come si è
insinuato a posteriori,se ciò sia avvenuto con l'ausilio o meno di
qualche franco tiratore, sono particolari se poi tutto è avvenuto a
fin di bene).A parole ci hanno fatto capire come sia per loro venuto
il momento della “buona” politica e hanno fatto esplicito
riferimento al dramma dell'immigrazione clandestina e a quello
dell'insostenibile situazione delle carceri. Hanno, come si dice,
predicato bene. Sono stati il polo attrattivo di una precisa
maggioranza, con un netto orientamento. Bene, esistono alcune
questioni, di emergenza ma anche di coscienza, che, come si suol
dire, è opportuno che siano risolte non tanto da un governo di parte
ma da un'”ampia maggioranza parlamentare”, meglio se
trasversale.Ecco: l'amnistia e la sanatoria (con annessa chiusura dei
CIE) sono due esempi. Chiediamo, come AGL, che il nuovo Parlamento
dimostri subito di essere capace di fare presto e bene ciò che i
precedenti non hanno realizzato.
DANIEL PLESEA: “INSIEME PER COSTRUIRE IL FUTURO DI TUTTI”
Saluto tutti i lavoratori del
Commercio, del Turismo e dei Servizi della città e della provincia
di Milano.
Vorrei presentarmi facendo cenno ad
alcune mie importanti esperienze. Pur se relativamente giovane (36
anni) ho una lunga storia di lavoro in molti paesi d'Europa: Belgio,
Germania, Francia, Olanda, Ungheria, Bulgaria, Russia, Moldavia,
Turchia.
Ho sempre lavorato duramente e solo da
poco tempo ho ritenuto fosse il momento di impegnarmi seriamente nel
Sindacato. Allo scopo, soprattutto, di poter aiutare e difendere i
lavoratori e , cosa più importante, di cercare di cambiare in
maniera incisiva il sistema lavorativo e i processi di inserimento al
lavoro.
In particolare , poi, non dobbiamo
dimenticare che il mondo del lavoro vede ormai una altrettanto
importante presenza sia degli uomini che delle donne.
E tutto ciò in una fase di crisi senza
precedenti che richiede, ancor più di ieri, la capacità di creare
rapporti, collegamenti, sinergie tra tutti gli ambiti produttivi
coinvolti.
Ogni parte del mondo del lavoro ha la
sua importanza per la nostra crescita economica e per il benessere
delle famiglie.
Per questo motivo la mia Federazione
cercherà di intervenire con pari forza e incisività in tutti questi
settori, nessuno escluso.
Ho intravvisto in quanto fatto fin
d'ora dall'AGL proprio questa mia tensione e ciò mi ha convinto ad
accettare senza riserve e con entusiasmo la loro proposta che io mi
impegnassi con tutto me stesso nell'attività di dirigente sindacale
a tempo pieno.
Ho nella mia vita operato nei più vari
campi (dal Turismo ai Lapidei) acquisendo numerose specializzazioni
professionali . Questa concreta esperienza , indispensabile a mio
parere per poter essere un buon sindacalista, sarà senz'altro
fondamentale per far crescere il mio gruppo dirigente e la presenza
dell'ALCAMS-AGL nelle Aziende. Metterò a disposizione di tutti il
mio vissuto.
Mi aspetto di incontrarvi presto di
persona e sono a vostra disposizione per affrontare e risolvere
insieme ogni problema lavorativo, operando con rispetto per tutti i
lavoratori e le Aziende di tutti i rami del nostro settore.
DANIEL PLESEA
Segretario Provinciale di Milano
dell'ALCAMS-AGL
ISPEZIONI ALLE COOPERATIVE: TUTTO BLOCCATO PER UN MALINTESO TRA COLLEGHE DIRIGENTI (“IO VORREI...NON VORREI...MA SE VUOI...”)? SOLO QUESTO O C'E' DELL'ALTRO?
L'8 marzo 2013 con una banale e-mail il
Ministero dello Sviluppo Economico ha comunicato a tutti gli
ispettori di cooperative in servizio presso il Ministero del Lavoro
che gli stessi non avrebbero da quel momento più svolto ispezioni su
tali società, comprese le ispezioni straordinarie.
Non si ha notizia di interventi da
parte dei sindacati interni al Ministero dello Sviluppo Economico, si
sono mossi invece solo tre dei sette sindacati “rappresentativi”
(cioè che hanno superato la soglia del 5%) interni al Ministero del
Lavoro con un comunicato ossequioso nel quale premettendo (come si
usa fare da anni da parte dei sindacati ministeriali, notoriamente
più realisti del re) di non volere entrare nelle valutazioni di un
altro Ministero ,cioè del dirigente responsabile, hanno chiesto di
risolvere il problema e un urgente incontro. Silenzio da parte di
tutti gli altri soggetti potenzialmente interessati, sia all'interno
che all'esterno della Pubblica Amministrazione.
Con insolita prontezza, sei giorni
dopo, parte una lettera del Ministero del Lavoro al Ministero dello
Sviluppo Economico che la dice lunga sullo stato pietoso a cui è
giunta la dirigenza ministeriale oltre alla colpevole
irresponsabilità del livello politico.
Non sapendo a cosa attaccarsi per
rassicurare i sindacati interpellanti, la dirigente non trova niente
di meglio che rispondere all'altro ministero basandosi su una
allusione contenuta nella email da cui si capirebbe che l'una avrebbe
interpretato male una circolare dell'altra. In sintesi: c'è una
nuova norma anti corruzione, il Lavoro emana una circolare
applicativa che richiama l'attenzione sulle attività extra
istituzionali dei funzionari, lo Sviluppo Economico (abituato a
rapportarsi agli imprenditori, quindi ad andare al sodo) capisce che
deve staccare la spina agli ispettori di cooperative dell'altra
Amministrazione. Alla fine, pure la dirigente chiede un incontro alla
collega che ancora non si sa se verrà concesso e se sarà
risolutivo. E i tre sindacati (per carità, accontentiamoci, una
volta giravano- o giravano loro - la testa) stanno a guardare.
Figuriamoci gli altri quattro che sono rimasti silenti. Così come le
Centrali cooperative che fino a poco tempo fa sbraitavano contro la
concorrenza sleale delle cooperative non aderenti insufficientemente
vigilate. Come le Confederazioni Sindacali nostre concorrenti, con i
loro partner datoriali di riferimento, autrici di campagne contro il
dumping contrattuale. Così come i sindacati antagonisti, che nelle
cooperative sono molto attivi, così come le istituzioni pubbliche,
che con le cooperative stipulano contratti di appalto. Eppure le
cooperative sono al centro delle grandi opere, della TAV , di Expo
2015, dei lavori pubblici, così come nell'edilizia (ricordiamo
scandali recenti), nel Consumo (le famose Coop della pubblicità),
nell'agricoltura, nel godere di agevolazioni e contributi di vario
tipo, nel Sociale, nei Trasporti e nella Logistica. Neppure alla
politica questo avvenimento sembra interessare, in quanto si è
distratti da ben altro. E per fortuna che il Governo Monti, Passera e
la Fornero sono rimasti in carica solo per sbrigare gli affari
correnti...
Questo in realtà è il terzo grande
attacco alla vigilanza cooperativa. Nel 2003 un gruppo di dirigenti
del Ministero del Lavoro ritenne di dover “smantellare” questa
funzione dal Ministero, perseguitando per tre anni gli ispettori in
attività, in quanto voluto da non meglio precisate entità politiche
e sociali. Nel 2007 avvenne per due anni un blocco di fatto attuato
da dirigenti delle Amministrazioni del Lavoro, dello Sviluppo
Economico e dell'Economia, interrompendo a livello nazionale le
assegnazioni di incarichi giustificando ciò con la mancanza di
fondi, dirottati chissà dove (in realtà soldi pagati dalle
cooperative con un sostanzioso contributo biennale di revisione).
Ora, guarda caso, in un momento in cui
sta per divenire presidente del consiglio il più grande “amico”
delle cooperative nello schieramento politico italiano, in cui le
cooperative aderenti alle Centrali sono impegnate in appalti , sopra
ricordati, di grandissima rilevanza e in cui alcune cooperative non
aderenti hanno ripreso alla grande a svolgere attività non
autorizzata di somministrazione di lavoro (per lo più straniero,
sfruttato, sottopagato), la cooperazione spuria viene utilizzata per
dirottarvi lavoratori in esubero per crisi aziendali, una serie di
interessi trasversali vanno ad incrociarsi e a perseguire un unico
obbiettivo: quello che vi siano meno occhi possibili (anzi, nessuno)
a controllare se le cooperative si comportino correttamente. Siamo
alla vigilia di altri due o tre anni di paralisi? Ecco, ci piacerebbe
che chi è stato eletto al Parlamento in nome del nuovo che avanza ci
dimostrasse di essere capace di iniziare a infilare il dito nella
piaga. Per esempio togliendo alle Centrali la possibilità di
effettuare i controlli sulle proprie cooperative e demandando tutta
l'attività allo Stato, utilizzando appieno la forza ispettiva
presente nel Ministero del Lavoro. E mandando a casa d'ora in poi
(preavvisandolo, come gradiscono al Ministero del Lavoro) qualsiasi
dirigente che remasse contro agli interessi della propria, delle
altre amministrazioni e della collettività (in questo caso, i
cittadini che ripongono fiducia nelle cooperative). Come avrete
capito, siamo italiani e amiamo il contropiede.
AGL Ispettori di Società Cooperative
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NUOVO SEGRETARIO PROVINCIALE DI MILANO DELL'ALCAMS-AGL
E' Daniel Vasile Plesea cui tutta la
Confederazione rivolge i migliori auguri di buon lavoro.
Questi i suoi recapiti:cell.
3894730850, e-mail ro_daniel@yahoo.com
CATEGORIE DI COMPETENZA DELL'ALCAMS-AGL
Terziario, Turismo, Servizi, Agenti
immobiliari, Agenti e rappresentanti, Agenzie di lavoro interinale,
Grande distribuzione, Cooperative di Consumo, Terziario Avanzato,
Alberghi, Mense, Ristorazione collettiva, Imprese di viaggi e
turismo, Pubblici esercizi, Stabilimenti balneari, Acconciatura ed
estetica, Amministratori di condominio, Dipendenti da istituti per il
sostentamento del clero, Lavoro domestico, Colf, Badanti, Farmacie,
Imprese di Pulizia, Portieri, Studi professionali, Terme, Vigilanza
privata
domenica 10 marzo 2013
CODICE DI COMPORTAMENTO PER GLI STATALI: INADEGUATO A MIGLIORARE I RAPPORTI CON LA PA, ALL'INDOMANI DELLA TRAGEDIA DI PERUGIA
A parte un dettaglio ormai consueto (la
mancata consultazione, per altro non prevista come obbligatoria dalla
norma di riferimento dei sindacati rappresentativi, di cui ci
onoriamo, ormai si sarà capito, di non far parte) la prima anomalia
che a noi salta all'occhio, parlando di questo nuovo codice, è
l'asserita sua “novità”. Intendiamo dire che è veramente
stupefacente che finora non fosse esistito, in maniera generalizzata,
per tutti gli statali, un codice di questo tipo. In realtà qualcosa
esisteva (ed esiste) su questi argomenti: una serie di circolari
della funzione pubblica o delle varie amministrazioni che costituiva
un insieme abbastanza disordinato di disposizioni nate per reagire a
comportamenti censurabili che però non si colpivano (non si volevano
colpire) perchè mancava, a priori, la regola generale (cioè
riguardavano persone che non era opportuno colpire). E' a suo modo
(in Italia abbiamo inventato pure questo) una specie di Testo Unico
delle circolari (con buona pace di coloro che ritenevano che le
circolari non avessero autonoma forza normativa).Quindi , prima
perplessità, prima non esisteva nulla del genere. Forse,
considerando che siamo nel 2013, c'è stato un po' di ritardo.
Seconda perplessità: l'atto è stato adottato da un governo tecnico
che poi si è scoperto guidato da un politico schierato, non prima ma
dopo le elezioni , per evitare evidentemente di perdere qualche voto.
In Italia attendiamo da tempo una legge seria contro la corruzione,
una legge efficace contro il conflitto di interessi, una
razionalizzazione e uno snellimento della Pubblica Amministrazione in
nome di un giusto risparmio in presenza del debito pubblico che tutti
conosciamo. Evidentemente però la montagna ha partorito un topolino:
blocco degli stipendi a tutto il 2014 per gli statali, questo codice
di comportamento, esuberi a migliaia di poveri cristi di impiegati
pagati con un sussidio, amministrazioni che crescono nel numero,
spese della PA che aumentano con riferimento all'acquisto di risorse.
La digitalizzazione è un miraggio che neppure il varo tardivo in
questi giorni dell'agenda da parte di Passera ha reso più tangibile:
non ci crede, in realtà, nessuno.
Altra stranezza. Se intendiamo quella
degli statali come una categoria omogenea (qualcuno parla di casta)
che necessita di un recupero di credibilità , anche in presenza di
una autorevolezza della PA che è crollata verticalmente, ebbene,
calare un codice di questo tipo dall'alto (strano che qualcuno non se
ne sia accorto) cancella definitivamente ogni credibilità della
categoria verso l'esterno. Per il semplice motivo che non è altro
che la codificazione di una serie di banali regole di buon senso
imposta ad una massa che evidentemente è assimilata dal Governo ad
un gregge di pecoroni disubbidienti e indisciplinati, oltre che
fannulloni. Se ci pensate bene, neppure Brunetta era giunto a tanto.
La sua guerra dava dignità alla categoria, cui si riconosceva una
pericolosità propria di un nemico altrettanto forte come l'ex
ministro. Qui si è tornati al passato, al quarantennio democristiano
se non addirittura al ventennio. L'unico scopo è quello di avviare
una escalation disciplinare con valenza essenzialmente espulsiva che
sia d'ausilio all'operazione esuberi evidentemente debole nei suoi
presupposti.
In realtà sarebbe stato salvato
l'onore degli statali (riconosciamo però che la cosa non ha molto
destato il loro interesse) l'adozione, come fanno le più importanti
categorie professionali, di un codice di autoregolamentazione, che
fosse recepito in un atto normativo. Esisteva un livello di
mediazione per realizzare ciò: quello dei sindacati rappresentativi
che però non hanno avuto il coraggio (o forse solo la prontezza di
riflessi) di anticipare il governo su questo terreno. E, per inciso,
nasce spontanea una domanda che ci permettiamo , come organizzazione
sindacale nata da 9 mesi, di rivolgere ai nostri 3 milioni di
colleghi: se la contrattazione e gli stipendi sono bloccati e se
neppure su questo il governo desidera conoscere l'orientamento dei
suoi “collaboratori” e dei loro sindacati, voi a marzo dell'anno
scorso cosa avete votato a fare nelle elezioni delle RSU?
Il resto sono particolari. Ridicolo il
limite ai regali ma soprattutto la differenziazione interna sulla
base delle mansioni e dell'amministrazione di appartenenza.
Gravissimo (e sintomatico) invece che non sia passato l'altro decreto
che era in programma , quello che prevedeva limitazioni per i soli
dirigenti, relativo alle condanne penali subite e al passaggio da
ruoli politici alla dirigenza. Così come una inammissibile
limitazione della libertà e della privacy quella di dichiarare a
quali associazioni si sia iscritti. C'è chi subito ha inneggiato a
una nuova storica svolta nel rapporto tra cittadini e PA. Caso vuole
che questo codice abbia visto la luce casualmente in coincidenza
dell'uccisione, a Perugia, presso la Regione Umbria, di due
incolpevoli impiegate da parte di uno squilibrato le cui condizioni
di salute certo non sono state migliorate (anzi) dal rapporto da lui
avuto, negli ultimi mesi con la macchina burocratica. Rivolgiamo un
pensiero alla memoria delle due povere colleghe, auspicando che fatti
così terribili non abbiano a ripetersi. Diciamo però al Ministro
Patroni Griffi , al suo successore e alle forze politiche di non
dimenticare mai che la crisi nel rapporto tra cittadini, lavoratori,
imprese e la PA non è tanto provocata dal patetico “lei non sa chi
sono io” né dalla penna regalata al dirigente ma dal mancato
pagamento dei debiti della PA ai privati, dalla durata biblica dei
procedimenti, dai disservizi, dall'infedeltà e dalla corruzione. Non
aiutano a risolvere ciò gli stipendi da fame degli impiegati, il
blocco dei contratti, l'ottusità di certi dirigenti. Speriamo che i
sindacati rappresentativi , da voi scelti nella scorsa tornata
elettorale, sappiano adeguatamente parlare al nuovo governo di queste
questioni.
ESODATI: QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DI VIA FLAVIA
In altri interventi abbiamo sostenuto
(e ci rincresce di farlo da soli ma forse è la prova che siamo
estranei alla politica elettorale) che occorrerebbe (data la gravità
del debito pubblico) cominciare a affrontare la questione esodati da
un punto di vista diverso da quello meramente previdenziale (di fatto
trasformatosi in assistenziale) , ragionando su soluzioni alternative
e dinamiche, anche al di là delle sabbie mobili dei diritti
acquisiti nonché delle umane aspettative di chi qualche tempo fa si
era organizzato la vita in una maniera per vedersela sconvolta
dall'intervento di una fino ad allora sconosciuta professoressa
torinese.
Abbiamo dato per ormai acquisito che le
elezioni non le ha vinte nessuno, neanche quello schieramento che con
più forza aveva messo sul piatto la questione esodati pur non
riconoscendo, in maniera autocritica, che se non avesse sostenuto la
riforma Fornero coi suoi voti in Parlamento, la stessa non avrebbe
rovinato la vita (chissà per quanto tempo) a quelle migliaia di
italiani.
Il cerino quindi, suo malgrado, finchè
non ci sarà un'altra compagine, è ritornato in mano all'inquilina
di Via Flavia (in realtà Via Veneto) . E ormai, sugli esodati, è
consumato e il fuoco sta cominciando a bruciare la mano. Il perchè è
presto detto.Ricordate i 130.000 esodati riconosciuti dalla Fornero
(una parte dei 390.000 stimati dall'INPS) in un certo senso fortunati
in quanto solo per loro sembrava partito un meccanismo di
salvaguardia?Due decreti già li hanno interessati (salva-italia e
spending review) e un terzo sta per essere emanato come conseguenza
della legge di stabilità. Ebbene nessuno dei 130.000 , per un motivo
o per l'altro, ancora ha ricevuto l'assegno (cioè i soldi) . Solo
una piccola parte ha ricevuto la comunicazione di avere il diritto
(per ora dovranno accontentarsi di mangiare quella). Ma, come
onestamente fatto da noi presente in precedenti interventi, ogni
ministro ha l'alta dirigenza che si merita (anche quella per il
momento è rimasta impermeabile agli sconvolgimenti elettorali: non
si è superpremiati a caso...):entro il 20 febbraio le aziende
dovevano comunicare al Ministero del Lavoro i nominativi dei
lavoratori che sono stati incentivati all'esodo entro il 31.12.2012.
Tutto saltato (se ne facciano una ragione le decine di migliaia di
lavoratori coinvolti i quali, siamo sicuri, non ne saranno sorpresi)
in quanto al ministero si sono dimenticati di fornire le istruzioni
necessarie all'invio delle segnalazioni. Quando si dice essere
all'altezza delle sfide e raggiungere gli obbiettivi.
MILANO: 5 MILA LE CASE SFITTE ALER, 3000 QUELLE COMUNALI. MA QUANTE QUELLE OCCUPATE ABUSIVAMENTE?
Anche l'AIAM-AGL , Federazione
Inquilini , Assegnatari e Mutuatari aderente alla confederazione AGL
sollecita il Governatore Maroni e il Sindaco Pisapia ad affrontare
prioritariamente la grave questione degli alloggi sfitti, a Milano,
richiamando tutte le forze politiche e sociali ad una unità di
intenti nell'affrontare sollecitamente l'emergenza abitativa di
migliaia di famiglie, molte delle quali, in crisi, sono incappate in
sfratti per involontaria morosità. Appare altresì urgente, per
motivi di trasparenza e di rispetto della legalità, per evitare un
pericoloso scollamento tra istanze delle famiglie bisognose e
istituzioni, fare una volta per tutte chiarezza sull'annosa questione
delle case sfitte occupate abusivamente, censendo le stesse e
intervenendo in maniera graduale, accorta ma decisa, distinguendo tra
situazioni di effettivo e urgente bisogno, magari non emerso per
ritardi burocratici e quelle di ingiusta prevaricazione. Ed evitando
discriminazioni tra famiglie rimaste in silenzio ed altre che hanno
ritenuto opportuno tutelare i propri interessi attraverso movimenti
di varia natura i quali se hanno il merito di aver posto
all'attenzione dell'opinione pubblica situazioni emergenziali che
altrimenti sarebbero rimaste sconosciute saranno sicuramente i primi
a desiderare che ogni cittadino acceda all'alloggio sociale in base
al suo effettivo stato di bisogno.
EMERGENZA SANITARIA PER I PRODOTTI ALIMENTARI: ATTENZIONE ALLA CONTRAFFAZIONE (ANCHE DEI NOSTRI CERVELLI)
Tutti abbiamo seguito il succedersi di
notizie inquietanti emerse per l'essenziale opera di controllo svolta
dai NAS dei Carabinieri, che non finiremo mai di ringraziare. Ci
auguriamo che l'allarme sociale che si sta diffondendo non si spenga
magari per il sopraggiungere di eventi di più alta risonanza
nell'ambito della cronaca nera ma produca una buona volta dei
cambiamenti concreti. Innanzitutto: non è più possibile che dei
criminali che avariano e mettono in commercio cibo pericoloso se la
cavino con semplici sanzioni amministrative. Occorre che sia la
giustizia penale ad occuparsene, con pene severissime e certe
nell'esecuzione. E poi, in caso di flagranza, occorre immediatamente
che vengano resi pubblici nomi, cognomi, marchi e ditte coinvolte.
Solo così nelle aziende private verrebbe elevato ai massimi livelli
il sistema dei controlli interni. Ma non basta, perchè altrimenti,
come sempre avviene in Italia, sarebbero solo i lavoratori del
settore a pagare. Occorre che gli imprenditori che si macchino di
comportamenti così gravi abbiano il patrimonio sequestrato e siano
espulsi dal settore, non potendosi più occupare da quel momento di
settore alimentare. E poi diciamoci la verità: ognuno di noi sa che
questo sistema di etichettatura è fallito. Pensare di poter scoprire
il pericolo attraverso la lettura dell'etichetta è come immaginare
che i criminali vadano in giro auto etichettandosi come tali. E'
ovvio che il contenuto , se non a norma, sarà sempre collegato a
etichette fasulle, indipendentemente dall'Europa, le cui
multinazionali purtroppo hanno nel settore precisi interessi che le
stesse sanno ottimamente tutelare. Sul controllo ex post siamo
tranquilli. I NAS sanno come intervenire. Ciò che preoccupa è la
prevenzione da parte dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese
oneste. Occorre adottare misure straordinarie come ad esempio,
l'illicenziabilità, la protezione e premi in denaro a quei
lavoratori che nel processo produttivo vengano a conoscenza di
illeciti nella preparazione degli alimenti e abbiano paura a
denunciarli. E' inutile parlare di rapporto di fiducia tra chi vende
e chi compra. I supermercati hanno una ragion d'essere oggettiva
nella efficienza e nella convenienza ma sono delle SpA e quindi
impersonali. Il vecchio generi alimentari ormai svolge un ruolo di
nicchia, servendo solo chi se lo può permettere, dati i prezzi.E'
vero, la crisi economica ha indotto un abbassamento dei consumi a
livello bellico e questo provoca una guerra sui prezzi. Ma la
soluzione non è quella di demonizzare chi pratica un prezzo più
basso (attenzione, sono gli stessi supermercati a farlo, vendendo
prodotti con la loro etichetta) ma semmai costringere chi pratica
tali prezzi stracciati a oneri informativi maggiori, anche oltre
l'etichetta (pensiamo a quanto già fa una nota rete di fast food Usa
presente massicciamente in Italia) . Un'altra misura importante
sarebbe quella della partecipazione di tutti i consumatori a un opera
informativa diffusa e in rete (meglio se organizzata e gestita dagli
stessi NAS) su ogni anomalia registrata in sede di acquisto. Quante
volte abbiamo acquistato un prodotto apparentemente di marca e sicuro
e abbiamo accusato dei disturbi, anche se lievi? Così come si è
educato alla raccolta differenziata, abituiamo la gente alla denuncia
diffusa di tutto quanto è anomalo, facendo conservare le confezioni
sospette. Non illudiamoci. Finchè ci sarà la crisi comunque il
consumatore sarà propenso a comprare il cibo a un prezzo minore
rischiando.E poi, così come in azienda esiste un responsabile della
sicurezza sul lavoro che risponde di quanto accada, esiste, nelle
aziende alimentari, una persona fisica , con nome e cognome,
responsabile della genuinità degli alimenti e a cui siano dati i
poteri di controllo tali da poter svolgere effettivamente il proprio
compito?E che sia immediatamente interpellabile dai Carabinieri e
dalla Magistratura?
Altro che le sciocchezze relative al
comprare solo italiano o a fidarsi dell'etichettatura, della data di
scadenza, della provenienza, del luogo di confezionamento o del
marchio dop e igp. E' una vergogna che, in una occasione in cui si
parla della vita umana, delle aziende o delle associazioni datoriali
non trovino di meglio che farsi una pubblicità occulta: un vero e
proprio sciacallaggio.
Passando dal piano dei consumi a quello
politico, è evidente che molto debba essere rivisto relativamente a
quanto i governi fanno a favore del settore agroalimentare e di
quello agricolo, di cui ben conosciamo la potenzialità occupazionale
e nell'export. Non vorremmo però che una classe imprenditoriale
italiana incapace a tenere il passo con il nuovo e desiderosa di non
affrontare questioni che attengono alla condizione dei lavoratori, ci
trascinasse in una assurda guerra su base europea, facendoci credere
che dietro tutti i problemi del settore vi sia solo una volontà di
annessione e conquista da parte delle potenze europee del settore e
non invece una inadeguatezza e una selezione naturale tra aziende e
sistemi paese che nello stesso continente hanno differenti capacità
di competere. Lotta alla contraffazione alimentare quindi ma anche
allo sfruttamento dei lavoratori italiani e immigrati, ai bassi
salari e alla mistificazioni del mondo dell'informazione indotte dal
vecchio capitalismo agrario italico e dai suoi servi politici e
sindacali.
SICUREZZA DEI LAVORATORI ITALIANI ALL'ESTERO: OPERATO DI GOVERNO E AZIENDE GRAVEMENTE INSUFFICIENTE
I recenti fatti avvenuti in Nigeria,
collegati ad altri avvenimenti, drammi e tragedie, più o meno
lontani, ci inducono a soffermarci sul tema della sicurezza degli
italiani che si trovano nella necessità di andare a lavorare
all'estero, in zone spesso pericolose. Anche se ne veniamo a
conoscenza ogni tanto, pensandoci bene, il panorama di queste figure
professionali è molto vario. Giornalisti, insegnanti, tecnici,
ingegneri, volontari, ecc. Per non parlare dei militari, ma qui la
soluzione è più semplice: farli tornare tutti a casa anche se per
molti di loro questa è l'occasione di guadagnare ciò che in Italia
sarebbe arduo racimolare e quindi di dare una svolta alla vita delle
loro famiglie, potendosi comprare una casa o organizzare una attività
nella futura vita civile.
Abbiamo notato che l'argomento è molto
usato nella polemica politica ciò non dovrebbe far dimenticare le
responsabilità delle Aziende private in questa questione. Seppur
malandata e con le pezze al sedere, non dimentichiamo infatti che
l'Italia è storicamente una tra le ex potenze coloniali, che ciò ha
creato risentimento negli anni nei nostri confronti. Inoltre esistono
multinazionali italiane che si comportano in certi paesi come le
peggiori entità imperialiste e neo coloniali, anche se questo
argomento è tra quelli sgradevoli e quindi poco presenti nelle
inchieste giornalistiche. Mentre i dirigenti di queste multinazionali
sono super protetti, è netta la sensazione che il resto del
personale sia mandato allo sbaraglio e periodicamente (mal comune
mezzo gaudio?) accade che qualcuno di loro, al pari di colleghi di
altri paesi occidentali, finisca nelle grinfie di spietati gruppi
terroristici .Stante quanto sopra, sarebbe quindi arrivata l'ora che
non tanto noi che abbiamo solo possibilità di denuncia ma
soprattutto Parlamento e partiti adottino tutte quelle misure tali da
obbligare queste aziende italiane a farsi carico, anche con
investimenti privati, della sicurezza dei nostri lavoratori. Meglio
prevenire i guai che farneticare poi, quando la frittata è fatta,
sull'utilità di blitz e teste di cuoio, che le tragiche esperienze
fallimentari realizzate da paesi meglio attrezzati militarmente di
noi ci avvertono essere tecnicamente poco fattibili, data il contesto
ambientale e la concezione della vita umana propria di quei
terroristi. E' giusto dunque che di sicurezza sul lavoro all'estero
si cominci a parlare anche in queste occasioni. D'altra parte
criticare il governo anche su queste questioni è come sparare sulla
croce rossa. Politicamente, all'estero, siamo da anni delle nullità
(qualsiasi sia lo schieramento che abbia formato le compagini) e di
conseguenza i margini di sicurezza dei nostri connazionali che
lavorano all'estero in zone difficili sono ridotte al lumicino. E
quando si è tentato qualcosa di più (l'intervento della Marina e
dei Marò per combattere la pirateria oppure l'intervento dei servizi
in situazioni in cui svolgevano un ruolo potenze addirittura nostre
alleate) si è poi visto cosa siamo riusciti a combinare.
BRIDGESTONE DI MODUGNO (BA): SIAMO SOLIDALI SOLO CON I DIPENDENTI
La vicenda della Bridgestone dovrebbe
svegliare i lavoratori pugliesi da un lungo sonno nel quale si sono
generate varie tipologie di mostri: imprenditoriali, politici,
sindacali e amministrativi. E' ovvio che un annuncio così improvviso
abbia spiazzato tutti. Quello che invece è sospetta è la
solidarietà pelosa di tutti gli altri soggetti di cui sopra e il
polverone mediatico. Come se qualcuno avesse interesse ad aumentare
la confusione temendo che, a partire dalla riunione che si terrà il
14 marzo al Ministero dello Sviluppo Economico (come del resto
avvenuto per tutte le altre crisi aziendali) emergano, dai dati
presentati dalla multinazionale giapponese, responsabilità precise
della classe dirigente italiana e dei suoi sodali sindacali e locali.
E la Puglia non è una regione qualsiasi, lo si è visto nelle
recenti tornate elettorali, lo si è cominciato a capire dalla
vicenda dell'ILVA di Taranto. Questa regione può diventare, è
l'impressione di tutti gli osservatori, il casus belli, l'inizio
della fine per il sistema italia, l'epicentro della scossa che
scatenerà lo tsunami definitivo.Era meglio che l'annuncio fosse
stato dato o no, relativamente alle intenzioni? In queste cose non è
meglio la chiarezza piuttosto che il solito minestrone all'Italiana?
E come mai il propagandato nuovo modello di sviluppo concepito da
colui che governa la regione da otto anni, dopo tutto questo tempo
non ha saputo creare alternative locali allo sviluppo portato dalle
multinazionali? Ci auguriamo che alla fine la Bridgestone non chiuda
ma auspichiamo anche che esca fuori la verità sul motivo della
decisione dell'Azienda in modo che chi sarebbe esposto alle peggiori
conseguenze possa trarre le sue conclusioni sulle capacità dei
sindacati che ha scelto come rappresentanti e dei politici che ha
scelto come amministratori locali, parlamentari e ministri di pensare
a idee alternative di sviluppo che creino posti di lavoro durevoli.
RIFORMA DEL LAVORO POST ELEZIONI (ARTICOLO SCONSIGLIATO PER I SOGGETTI IMPRESSIONABILI)
Come noto, non è emerso un vero
vincitore dalle elezioni italiane. Là dove, su specifici temi, tra
uno schieramento e l'altro ,vi erano sensibili differenze, ciò
dovrebbe essere di conforto per chi temeva, trattandosi di rimedi
tutti peggiori del male, che un punto di vista avesse prevalso
sull'altro. Un esempio è quello delle politiche del lavoro. Chi
avreste buttato giù dalla torre tra i Ministri del Lavoro in
pectore, ognuno di un diverso schieramento? Ossia tra
Sacconi/Cazzola, Ichino/Fornero, Dell'Aringa/Damiano/Vendola, x/y
(grillini)? Poiché siamo contro le soluzioni violente avremmo
preferito buttarci noi, per non spargere sangue altrui. Ma il bello è
ora che per arrivare a un compromesso è possibile che un dato
schieramento, pur di non perdere il governo, sia disposto ad adottare
le tesi lavoristiche dell'altro schieramento. Facile, se si pensa che
si tratta di soluzioni inadeguate, irrealizzabili o fallimentari.
Diciamo che anni di esperienza , anche recente, ci hanno sicuramente
indicato cosa non fare. E' implicito che la verità sia in
comportamenti differenti. Quali?Adesso non chiedeteci troppo. Anche
perchè nelle politiche del lavoro si potrà fare qualcosa di valido
a condizione che già si siano fatte altre cose, apparentemente
distanti dall'ambito di competenza del Ministero di Via Flavia. Primo
criterio: mandiamo in vacanza (una volta si parlava di anno
sabbatico) tutti i giuslavoristi italiani (che non hanno scuse perchè
o hanno fatto i ministri o ne erano i bracci destri). Facciamo a meno
di loro in quanto i risultati raggiunti dalle riforme tentate dagli
anni novanta ad oggi ci hanno dimostrato che questi scienziati ancora
hanno tanto da studiare (soprattutto la realtà del mondo del lavoro)
e in queste condizioni fanno solo danni. Se gli ingegneri si
dimostrano incapaci forse sarà il momento di dare un po' di spazio
ai geometri: non si sa mai che riescano ad indovinarci. Poi: evitiamo
di creare nuovi equilibri, tra una forma e l'altra di lavoro,
operando sulla dialettica più costi/meno costi, svantaggi/vantaggi.
E' il mercato del lavoro (di solito più veloce di chiunque altro) a
stabilire, a posteriori la validità dell'una o dell'altra soluzione.
In genere quella che vince è la soluzione più semplice, meno
burocratica e meno foriera di tasse variamente travestite. Ecco,
questo crediamo potrà essere il vero merito storico della riforma
Fornero: costituire in un certo senso la Bibbia di tutto quello che
non va fatto sul lavoro, un gigantesco ed insuperabile esempio in
negativo che in quanto tale è perfetto come un opera d'arte e sarà
studiato dai posteri. Chiedere ai consulenti del lavoro per averne
conferma. Altra cosa da non fare: attribuire valore al lavoro stabile
e disvalore al lavoro non stabile. Abbiamo già detto più volte che
vanno considerate con il massimo rispetto le esigenze di chi ha o ha
avuto il posto fisso e si aspetta di mantenerlo fino ad una pensione
che sia più dignitosa di adesso così come di coloro che sono in
debito con la società (pensiamo ai precari della scuola) per aver
fatto parte, loro malgrado, di una umanità sfortunata in cui sono
stati illusi da un miraggio, quello appunto, del posto fisso. Queste
fasce di popolazione non vanno punite ma accompagnate verso un
miglioramento, graduale , della loro condizione. Sarà difficile
(sappiamo quale peso abbia il debito pubblico) ma va fatto
innanzitutto per un principio di dignità. Ma arriverà il momento (e
su questo dobbiamo deciderci a voltare pagina) che nella società
italiana non esistano più i termini “posto fisso” e “lavoro
precario” così come oggi intesi. Quella è la direzione verso cui
andare, certo, gradualmente. Un lavoratore quindi che abbia sempre
una fonte di reddito anche nei periodi di passaggio, la possibilità
di cambiare serenamente il lavoro più volte nella sua vita, di fare
carriera, di formarsi, di migliorare. Sia nel pubblico che nel
privato. E questo, in un prossimo futuro dovrà valere per tutti.
Perchè l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sul posto
di lavoro. Parimenti non dovrà esistere più di fatto il concetto di
precario sinonimo di ricattato, malpagato e sfruttato e senza
prospettive di serena esistenza. Su questa, che è innanzitutto una
battaglia culturale, constatiamo che nessuno è impegnato seriamente.
Male, poiché significa che si stanno difendendo rendite di posizione
o si sta sfruttando la disperazione delle fasce più marginali del
mondo del lavoro. Di solito per guadagnarci sopra . E, soprattutto
ora, per fini elettorali. Analoga apertura mentale è ora sia
adottata sulla questione pensioni. Qui notiamo passi in avanti
rispetto alle appena ricordate contraddizioni relative ai lavoratori
attivi. Si è giustamente seguita l'indicazione di rapportare l'età
pensionabile alla aspettativa di vita. Ancora non si è fatto nulla
(anzi si è registrato un peggioramento) nel comprendere che
l'attuale meccanismo non va più bene (e sarà sempre peggio) per
poter assicurare un livello di vita sufficiente ad ogni singolo
pensionato. Anche qui paghiamo l'eccessivo credito dato in questi
decenni agli scienziati pazzi. Ma prima o poi la situazione esploderà
e come accade occorrerà mettersi a correre per evitare di
sprofondare nella voragine e per fare in pochi secondi quel che ci si
è rifiutati di fare per anni. Non è questa la sede per trattare col
giusto approfondimento temi così delicati ma , intuitivamente, chi
volesse mettersi seriamente a studiare per sciogliere questo nodo non
potrebbe prescindere dall'affrontare alcuni tabù che prima o poi
verranno infranti. Il primo è quello dei cosiddetti diritti
acquisiti. E' la giustificazione oggi più forte alle peggiori
schifezze tuttora presenti nella giungla pensionistica. E, temiamo,
sia una giustificazione strumentale, interessata e non più
tollerabile. Così come avviene per esigenze di ordine pubblico, è
bene si cominci a pensare a leggi eccezionali anche per abbattere
privilegi pensionistici non più sopportabili per la gran massa della
popolazione. Dobbiamo deciderci cioè se questo paese lo vogliamo
salvare o no. Poi, collegato a quanto appena detto e alla vicenda
esodati , forse è arrivato il momento di pensare di trovare dei
rimedi per cui anche chi ha maturato il diritto alla pensione possa
se lo vuole e non rimettendoci tornare nel mondo del lavoro regolare
(e non solo di quello nero come oggi accade). Ripetiamo, possono
apparire affermazioni scandalose e dissacratorie, ma sarà ciò di
cui si parlerà quando si accorgeranno che non ci sono più soldi per
venire incontro a tutti gli esodati. Non date retta a chi vende
analisi interessatamente confuse: non esiste concorrenza tra vecchi e
giovani, non esiste mancanza di lavoro indotta dalla crisi . La
realtà vera è che la concorrenza c'è tra chi ha voglia di lavorare
e mettersi in gioco e chi ha un atteggiamento passivo. E che la crisi
di lavoro è la crisi di creazione di posti fissi. Chi conosce la
realtà sa che è così e il rifiuto dei partiti e dei sindacati di
accettare questa verità deriva dal fatto che questo meccanismo, se
liberato, provocherebbe l'inutilità della macchina burocratica, dei
posti assegnati in maniera clientelare, dell'assistenzialismo e del
parassitismo (politico e sindacale). Altro tabù da abbattere sarà
quello delle retribuzioni. L'art. 36 della costituzione è inadeguato
e irrealistico. Così come l'apparato dei CCNL. Occorre, siamo in
emergenza, che venga posto un tetto alle retribuzioni massime e
vengano innalzate quelle minime ossia i salari e gli stipendi dei
lavoratori e le pensioni degli anziani. E che venga assicurato un
reddito minimo a chi momentaneamente non lavora. Dove si trovano i
soldi? Basterà fare un gigantesco sondaggio in rete a costo zero
perchè i riflettori si accendano su situazioni di privilegio e
spreco di cui giornali e TV spesso non parlano. Basta volerlo. Da
ultimo , un consiglio: non fidatevi di economisti e giuslavoristi
falliti, personaggi tragicomici che o portano sfiga o fanno la figura
patetica di meteorologi che non azzeccano mai il tempo che farà.
Noterete che in questi giorni scrivono a iosa bocciando alcune
proposte innovative che finalmente hanno avuto una consacrazione
elettorale. I poverini non hanno capito che l'adozione del “ceteris
paribus” nel calcolare gli effetti di ipotizzate novità è
inadeguata all'esigenza di porre mano a situazioni nelle quali
diversi fattori devono cambiare contemporaneamente. Questi signori
non sono altro che i catastrofisti del giorno dopo, quelli chiamati a
rimediare al fallimento dei menagrami e delle cassandre del giorno
prima che non sono stati sufficientemente bravi nel mantenere la dote
di consenso elettorale ai partiti che gli assicurano lo stipendio.
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domenica 3 marzo 2013
QUASI SICURO: BLOCCO STIPENDI STATALI FINO A TUTTO IL 2014!
Ci sono state le elezioni, il
parlamento è spaccato in tre pezzi e mezzo che se ne sono dette e se
ne dicono di tutti i colori, è possibile governare ma solo da parte
di maggioranze contro natura. Questo è emerso dal dopo voto. Solo 3
certezze per il momento: il Governo Monti sarà in carica fino
all'avvento (non si sa quando) del nuovo governo, Napolitano non può
sciogliere le Camere, si prenderanno solo i provvedimenti
indifferibili. Uno di questi è quasi sicuro: nel Consiglio dei
Ministri di venerdì prossimo verrà deciso il prolungamento del
blocco degli stipendi, per gli Statali, fino a tutto il 2014.Sarebbe
il quinto anno consecutivo in cui ciò accade e i già striminziti
stipendi dei non dirigenti rischiano di diventare qualcosa di molto
simile agli attuali assegni sociali. Accadrà pertanto una cosa molto
semplice: il potere di acquisto di questa categoria scenderà ai
minimi storici e senz'altro non saranno i 3 milioni di statali a
contribuire, nei prossimi mesi, alla ripresa dei consumi.E non si sa
neppure se servirà a qualcosa, in quanto sulle soluzioni per
fronteggiare disoccupazione, recessione, debito pubblico le proposte
sono numerosissime (praticamente tutte quelle riportate nei manuali
di economia) ma su quali saranno quelle scelte è buio pesto. E tutti
si discolpano, dicendo che la responsabilità non è loro ma degli
elettori che votando non hanno scelto la via da intraprendere.In
questo contesto, le dichiarazioni di alcuni dirigenti di sindacati
confederali che preannunciano ondate di scioperi nel Pubblico Impiego
ci sembrano penose e la dicono lunga sul livello a cui è precipitato
il Sindacato italiano, incapace di utilizzare la sua grande forza per
imporre soluzioni convincenti per il Paese. E' forte il rischio che
la gente cominci veramente a pensare di poter fare a meno dei
Sindacati, data la loro dimostrata inutilità. Poi ci si lamenta
delle spinte populistiche e irrazionali, quando è l'impotenza di
questi signori a non lasciare scelta.
DIRIGENTI: SHOCK OCCUPAZIONALE, CRISI PSICOLOGICA.ANCHE OBIEZIONE DI COSCIENZA?
Da anni la categoria dei dirigenti è
stata considerata di fatto protetta e super garantita. In particolare
la libera recedibilità non ha mai significato maggiore esposizione
ai licenziamenti. Anzi. Per antonomasia, durante le tempeste
economiche e le crisi produttive, erano sempre coloro che erano sul
ponte della nave (lavoratori manuali e impiegati) ad essere spazzati
via dalle ondate mentre la testa delle aziende, ben riparata in
plancia, la faceva sempre franca. Ebbene, anche questo in Italia è
cambiato, in fretta. Si parla di 10.000 dirigenti che hanno perso il
posto di lavoro nel 2012 , di 60.000 dal 2006.
E' vero che quando ciò accade, dal
punto di vista individuale, si tratta di un dramma non paragonabile,
neppure lontanamente, a quello della perdita del lavoro da parte di
un operaio o di un impiegato. Perchè il dirigente aveva uno
stipendio di diverse volte superiore a quello di sussistenza (ossia a
quello dell'operaio), perchè se, come capita spesso, i lauti
guadagni sono stati investiti in maniera oculata (e i dirigenti hanno
la cultura per farlo) , la riserva di sopravvivenza non si esaurisce
in breve tempo ma può consentire di affrontare con calma la ricerca
di un nuovo posto di lavoro. Perchè, sempre che non si tratti di un
dirigente raccomandato (e quindi più ignorante dei propri
dipendenti) si presuppone che lo stesso abbia una cultura di base e
una professionalità superiore alla norma e quindi spendibile nella
ricerca di un nuovo lavoro.
Ma anche qui qualcosa è cambiato,
facendo precipitare nell'incertezza e nell'inquietudine molti
dirigenti che hanno perso il lavoro e intimorendo, nei confronti
delle rispettive proprietà, quindi rendendo più ricattabili, i
manager che sentono odore di possibile esonero. Ciò nel privato, ma
anche nel pubblico, al netto delle cordate e protezioni politiche,
dato il processo di privatizzazione (seppure all'italiana) dei
rapporti di lavoro, non sono infrequenti accadimenti traumatici
attutiti per lo più però, in conseguenza delle fonti informative
messe a disposizione da parte di chi ti mise su quella poltrona, da
trasferimenti strategici da una Amministrazione all'altra che
implicano la sostanziale stabilità della posizione dirigenziale.
Ovviamente, in questo quadro, nel pubblico, i principi di
trasparenza, efficienza, efficacia e raggiungimento dei risultati
posti, diventano molto, molto relativi. A proposito (lo facciamo in
ogni nostro intervento riguardante la dirigenza pubblica) siamo
ancora in attesa che sui siti istituzionali, oltre alle retribuzioni
tabellari e ai curriculum, vengano non solo riportati i premi
percepiti da ciascuno ma anche , ex post, quali siano stati gli
obbiettivi raggiunti che li abbiano giustificati. Soprattutto
relativamente a quelle Amministrazioni nelle quali i dirigenti, tutti
i dirigenti, prima delle elezioni, sono stati premiati a pioggia. E
sempre per inciso, a dimostrazione che i tempi stanno cambiando,
abbiamo ascoltato con attenzione, successivamente al risultato
elettorale, l'intervento dell'On. Maristella Gelmini (le cui
quotazioni nel PdL stanno salendo vertiginosamente, tanto che oggi di
lei si parla come futuro Vice Presidente del Consiglio del
Governissimo guidato, si mormora , da Matteo Renzi) la quale,
analogamente a quanto fino ad oggi si faceva solo per i calciatori,
ha evidenziato la spropositata retribuzione dei dirigenti pubblici
rispetto ai normali dipendenti (anche questo un nostro vecchio
cavallo di battaglia: non perchè si sia contrari per principio a ciò
ma perchè sono troppo bassi gli stipendi degli altri dipendenti
pubblici e perchè, questo Paese, per un po' di tempo, per
riprendersi, avrà bisogno che, per i propri privilegi, né i
politici né i dirigenti vengano odiati dalla popolazione che vive
ben altra realtà di sacrifici).
Nel privato sono più avanti nella
risoluzione di queste contraddizioni. Chi segue l'attività delle
associazioni di dirigenti nostre concorrenti sa come le stesse da
mesi denuncino il cosiddetto “downgrading”. Ossia la
sostituzione, nell'ambito delle attività “core” dell'impresa del
dirigente con un quadro. Un po' come se nel pubblico (non ci
crederete ma era così fino alla sciagurata riforma del 1993 ) la
stessa attività di direzione fosse svolta da un direttore pagato al
massimo il doppio dell'impiegato o addirittura dal funzionario
apicale (una volta si chiamavano IX livelli) addirittura con uno
stipendio più basso. Non è raro che, a differenza che nel privato,
il patrimonio culturale, il titolo di studio e la professionalità
del dipendente pubblico sia inversamente proporzionale al livello di
appartenenza (è noto, sono proprio i dirigenti più bravi a
ricordarlo nelle loro conferenze, che in una nave il soggetto più
importante è il motorista e non il comandante) e ciò dovrebbe
rassicurare tutti sulla praticabilità, nel settore pubblico, di tale
strada. Nel privato questi processi sono più semplici dato che c'è
il profitto come metro di paragone e supremo giudice delle capacità
esplicate.
Vita più dura, quindi, per il manager
il quale deve ricollocarsi, diventare più flessibile, spesso
accettare un posto di quadro, rischiare di più in aziende più
dinamiche, lavorare in aziende meno strutturate dove è maggiore il
protagonismo e quindi l'invadenza della proprietà e quindi
dell'imprenditore che, rimettendoci di suo, va poco per il sottile.
Rimane l'estero? Magari. I nostri dirigenti non sono ancora
sufficientemente competitivi a livello europeo o mondiale (si
intende: nel mondo sviluppato). In Italia abbiamo però la cara,
vecchia Pubblica Amministrazione in cui è possibile, entrando nelle
grazie di qualche politico o padrino ministeriale, agguantare una
poltrona, apparentemente a tempo determinato, spesso, di fatto, a
vita. In teoria dovrebbe esserci un flusso bidirezionale in campo
dirigenziale, tra pubblico e privato. In realtà è unidirezionale:
dal privato al pubblico (o finto pubblico) con biglietto di sola
andata.
Con costi tuttavia insopportabili e
crescenti per il contribuente. Tanto che si teme l'arrivo anche lì
dello tsunami. Che fare? Aspettare o ribellarsi a questo assetto
iniquo, alleandosi con i cittadini, dimostrando che il dirigente
pubblico è innanzitutto un servitore dello Stato? E cosa c'entrano
con lo Stato e la Costituzione comportamenti arbitrari e illegali che
rileviamo da anni nella P.A.? Nulla evidentemente e vanno combattuti.
Ma non da tutti indistintamente ma , sarebbe ora, da chi casualmente
si trova in prima linea, strettamente a contatto con il malaffare
amministrativo. Una pubblica Amministrazione in queste condizione ha
già effetti letali per molta parte della popolazione. Vogliono i
dirigenti collaborare con questa ingiustizia criminale o essere i
protagonisti del cambiamento? Hanno solo un modo di fare ciò.
Diventare obiettori di coscienza, denunciare i misfatti della classe
dirigente , essere i primi a fare pulizia all'interno delle loro
amministrazioni disobbedendo a chi vorrebbe farne strumento della
prevaricazione. Prima che sia troppo tardi e che l'ira popolare
spazzi tutto via.
PROFUGHI: PREPARARSI ALL'EMERGENZA
Noi non siamo tra coloro che si
scandalizzano quando al bar o al mercato o in TV (spesso in maniera
ancora più rozza di quello che accade in mezzo alla strada)
riferendosi a problemi come quello dei profughi si dicono cose del
tipo: ma che ce ne importa di dove dormono o se mangiano, pensiamo
prima agli italiani o ai lombardi o ai milanesi, ecc.ecc.
Come sindacato noi non veniamo né
dalle biblioteche universitari né dai salotti, ma dal mondo del
lavoro manuale e dagli uffici, dai posti dove si manifestano il
disagio e la sofferenza di un numero sempre maggiore di italiani. E'
parimenti insopportabile la sofferenza dell'italiano che perde il
posto di lavoro perchè in base al CCNL il suo costo del lavoro
sarebbe eccessivo accanto a quella dell'extracomunitario che agguanta
quel posto di lavoro ma viene sfruttato, sottopagato e lasciato in
nero, con orari e condizioni di lavoro impossibili e anche a rischio
della sua vita e della sua salute. Così come è uguale la sofferenza
di bambini italiani che hanno in casa il papà o la mamma disoccupati
e il nonno che finisce la pensione per aiutarli, andando a raccattare
all'ora di pranzo gli avanzi al supermercato o quella dei bambini
stranieri che il genitore l'hanno perso nel viaggio in gommone o che
sono costretti a dormire nelle baracche o sotto i ponti, al freddo,
in condizioni igieniche vergognose e a mangiare quando si può, senza
andare a scuola.
Ma siamo su una specie di Titanic che
affonda quindi non dobbiamo stupirci che anche italiani possano dire
ogni tanto qualche sciocchezza, anche involontariamente, di stampo
egoistico o razzista, poiché il momento è serio, la gente teme per
il futuro suo e della propria famiglia e tutti stiamo cercando il
nostro posto sulla scialuppa.
La vera responsabilità, di questo e di
altro, è di chi sta in alto, dei politici e dei potenti. Il governo
Monti, ad esempio, non ha affrontato la questione dei profughi entro
fine febbraio. E' facile immaginare perchè. Tuttavia questo
colpevole atto di irresponsabilità rischia di creare ulteriori
problemi alla convivenza civile delle nostre città. Sappiamo che i
profughi tuttora in Italia e quelli che arriveranno sono tutt'altro
che finti. Vorremmo vedere come scapperebbero a gambe levate
dall'Italia i nostri connazionali che fossero vittime di droni che
sbagliano, uccidendo bambini, di governi che usano armi chimiche
contro villaggi del proprio paese, di milizie che praticassero
vendette ed esecuzioni di massa, per esempio tramite lo sgozzamento
di famiglie, nel cuore della notte. Rispetto pertanto per questi
esseri umani e speriamo che cose del genere, in futuro, non capitino
a noi.
Il dovere di accoglienza quindi è
sacrosanto. E dovrebbe al più presto essere organizzato affinchè
sia efficiente, rapido e con costi ragionevoli. Cercando di non
rendere ancora più critico l'impatto sui territori, specie quelli a
già alta densità di popolazione, come quello delle nostre
metropoli. Perchè è ovvio che il flusso si dirigerà verso le
grandi città. E' stato inqualificabile lasciare a sé stesse, da
parte del governo, persone che negli ultimi due anni hanno avuto
assistenza garantita e si sono trovate senza lavoro e posto per
dormire da un giorno all'altro.
Apprezziamo infine l'operato di quei
Comuni e quelle organizzazioni di volontariato che pur in presenza
dei consistenti tagli ai finanziamenti che già conosciamo, si stanno
adoperando affinchè l'Italia dia una ennesima prova di civiltà. E
auspichiamo che dall'attuale diatriba politica relativa alla
formazione del nuovo governo post elettorale vengano inserite, tra le
7-8 cose da fare subito, una generalizzata sanatoria degli
extracomunitari che attualmente sono clandestini in Italia pur
lavorando onestamente anche se in nero.
RAPPORTO IMPRESE/FAMIGLIE/BANCHE: RISPETTO PER I SUICIDI MA NON ARRENDIAMOCI
Quasi tutti individuano nel rapporto
tra banche e imprese il punto di massima tensione in questa lunga
fase di crisi finanziaria internazionale e recessione. Chi ha buona
memoria però sa che il problema è di lunga data e mai risolto.
Soprattutto in Italia possiamo sicuramente individuare un ritardo
ancora più grave che altrove. I piccoli imprenditori (e i loro
dipendenti, di riflesso) , lo dicono i dati, sono coloro
completamente avvinghiati da questo mostro che oggi è rappresentato
dal sistema creditizio. Sono crollati i finanziamenti alle aziende e
quelle tra loro che ancora non hanno chiuso e riescono a pagare i
loro dipendenti addirittura erogano i già magri stipendi a rate. E
la stessa vita di molte aziende è messa in discussione da insolvenze
e sofferenze. Prima ancora dello tsunami di Grillo è quello dei
protesti che sta sommergendo l'Italia. Un taglio senza precedenti dei
finanziamenti a medio termine delle imprese e dei finanziamenti alle
famiglie, la diminuzione dei mutui, del mercato immobiliare e del
settore edilizio (ad opera della maledizione chiamata IMU) nonché
del credito al consumo, fa dire agli osservatori che è la poca
liquidità il tratto caratterizzante l'attuale situazione. A fronte
del dato in controtendenza dell'aumento dei prestiti bancari alla
Pubblica Amministrazione (evidentemente più temuta dal sistema
bancario) è l'aumento dei tempi di pagamento quello che ha
strangolato le imprese. E per di più il disagio è maggiore nelle
zone del Paese meno sviluppate economicamente.
Fin qui i comportamenti “macro”.
Che tuttavia , nella realtà quotidiana di molti piccoli
imprenditori, sfociano in drammi e tragedie. E' da mesi uno
stillicidio di morti da usura e anatocismo bancario. E' una tipica
guerra impari tra una potenza atomica da una parte (il potere
bancario che mette al primo posto il proprio tornaconto e interesse,
che conta potenti connivenze nello Stato, nelle istituzioni, nei CdA
delle aziende ) e i comuni cittadini, schiacciati come formiche e
debolmente tutelati da blande associazioni datoriali che fanno finta
di non vedere o si sentono improvvisamente impotenti di fronte a
questi attacchi . E intanto muoiono imprenditori, lavoratori,
chiudono aziende, famiglie finiscono sul lastrico e, facendo terra
bruciata del settore produttivo, si uccidono sul nascere le
prospettive di ripresa del nostro Paese. Noi dell'AGL abbiamo scelto
di combatterla, invece, questa guerra e di vincerla, stipulando, sin
dalla nostra nascita, una convenzione con società che attraverso
potenti software sono in grado di individuare con precisione anomalie
(anatocismo e usura, illeciti civili e penali) nel comportamento
delle banche e a quantificare quanto l'imprenditore potrebbe
recuperare, cercando di raggiungere l'obbiettivo attraverso una
strategia personalizzata tesa a scongiurare il ricorso a una
giustizia ancora troppo lenta e costosa, valorizzando i mezzi di
pacifica risoluzione delle controversie tra privati. Per sapere come
percorrere questa possibilità, basta consultare le istruzioni e i
riferimenti già presenti nei nostri siti e contattarci. Non ci
risulta che altri sindacati stiano facendo cose altrettanto concrete.
Titoloni quando muore suicida un imprenditore o un lavoratore, quando
in una famiglia scoppia una tragedia ma poco o nulla per prevenire
tutto ciò. E' triste che in un paese che si dice civile esistano
ancora questi diffusi comportamenti di sottomissione da parte di
forze sociali, alternative e antagoniste solo a parole, al potere
economico. Prima o poi un tale problema potrebbe toccare ognuno di
noi. Meglio combattere, prima che sia troppo tardi.
DISCIPLINARE LA PROSTITUZIONE FEMMINILE E MASCHILE: UNA SCELTA DI CIVILTA'
E' un po' deprimente il fatto che in
Italia si riesca a parlare seriamente di certe cose o quando si sta
per soffocare di debito pubblico o quando si è nel pieno di un caos
politico senza precedenti. E sembra che lo si faccia apposta, in un
momento in cui la massima autorità morale e religiosa presente nel
nostro Paese è a sua volta in altre faccende affaccendata: la scelta
del successore del Papa. Come tuttavia sostengono gli studiosi più
moderni e dinamici, è proprio nelle crisi e nelle fasi di passaggio
che spesso avvengono le scelte epocali. In sintesi: se non ora,
quando?
Veniamo da mesi di adorazione politica
del modello tedesco e fa bene chi ne trae spunto per ricordarci anche
le cose più scomode. Ossia, per esempio, che la prostituzione è
disciplinata, dalla legge tedesca, sin dal 2002 e la novità sembra
andare benone. Perchè, detto senza malizia, trattasi di un settore
che tira e tutt'altro che in crisi. In Germania, da allora, chi
esercita la prostituzione può scegliere (loro si e noi no?) se farlo
con un contratto di lavoro subordinato o in maniera autonoma. E c'è
l'obbligo per tutti di pagare le imposte sul reddito e di applicare
l'IVA a tali servizi. Tutto ciò procura un gran beneficio al gettito
fiscale nazionale.
In Italia il deficit pubblico è una
bestia con cui tutti i partiti dovranno fare i conti. E' un'emergenza
e bisogna inventarsi qualcosa di nuovo e di socialmente sostenibile.
Ripetiamo: è fuorviante e autolesionista parlare della “riapertura
delle case chiuse” . Non di questo si tratterebbe e quindi
senz'altro la cura della dignità e della libertà di donne e uomini
sarebbe al primo posto nell'attenzione del legislatore che si
occupasse di questo tema. Tra l'altro la motivazione di tale
iniziativa non sarebbe solo o tanto l'eliminazione della
prostituzione delle strade. L'esigenza cioè non sarebbe quella di
nascondere chissà dove un ipotetica vergogna. Sulle strade
avvengono, sotto gli occhi di tutti, cose molto più scandalose che
l'esibizione di uomini e donne vestiti in maniera succinta e
provocatoria. E, per di più, magari la prostituzione fosse solo
limitata alle strade. In realtà la stessa (sia nella versione fisica
che in quella intellettuale) è presente in maniera preoccupante in
politica, nel giornalismo, nella cultura , nelle aziende, in nome dei
soldi e della carriera. Siamo quindi ben lontani da una società
fondata su solidi principi morali. Quel che è certo è che togliere
dalla clandestinità la prostituzione implicherebbe un colpo
durissimo agli interessi della criminalità organizzata e i più
maliziosi sostengono che proprio questo è il motivo per cui la
politica non se ne vuole occupare Inoltre sarebbe un adeguamento vero
a quanto si fa da anni nel nord Europa. E perchè no, si offrirebbe
la possibilità, sulla base di una libera scelta, di creare, anche
per gli italiani (e senza limiti di età, di sesso o estetici, data
la multiformità della domanda di servizi in questo campo) centinaia
di migliaia di posti di lavoro regolari (e a tempo indeterminato) .
Sarebbe poi uno stimolo al rafforzamento di un indotto, già
esistente e, ci dicono, prospero, in campo commerciale, dei pubblici
esercizi e della attività manifatturiera (è noto che molta
oggettistica, in questo campo, è di importazione) con positivo
effetto per la bilancia commerciale. Dato il dimostrato beneficio
che tale attività (come ci viene ricordato da anni dai mass media)
induce nel “cliente” dal punto di vista fisico e psichico, perchè
non ipotizzare che possano essere scaricabili queste spese sul 730 al
pari di quelle mediche?Vogliamo poi parlare della prevenzione delle
malattie sessuali e dell'Aids , attraverso l'uso professionale dei
mezzi di protezione e la possibilità che tramite la contribuzione
previdenziale, sia possibile assicurare pensioni di vecchiaia a chi
svolge tali attività? E un lavoro regolare a tanti stranieri oggi
clandestini e in balia della criminalità?Ovviamente dovranno
rimanere, anzi essere rese più severe, tutte le norme che colpiscono
lo sfruttamento, relativo a quei casi in cui la scelta di esercitare
tale professione non sia libera. E favorire l'imprenditorialità da
parte di chi, dopo anni nel settore, ha acquisito le capacità di
organizzare tali servizi e creare quindi tanti nuovi posti di lavoro,
per gli italiani, in particolare, compreso l'indotto.
Legalizzare tutto ciò significherebbe
offrire pari opportunità non solo alle donne ma anche agli uomini e
a tutti coloro che pratichino scelte sessuali diverse e variegate,
tutte degne del massimo rispetto. Coraggio Italia. Mica vorremo
rimanere indietro anche su questo?
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