Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro

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(confederazione sindacale dei lavoratori) codice fiscale: 97624870156; atto costitutivo (e statuto) registrato presso l'Agenzia delle Entrate, DP I MILANO-UT di Milano 1, in data 04/06/2012, serie 3, n.7107- sede naz.le:Via Antonio Fogazzaro 1, sc.sin. 3° piano, 20135 Milano, tel.3349091761, fax +39/1782736932, Whatsapp 3455242051, e-mail agl.alleanzageneraledellavoro@gmail.com ; e-mail certificata: alleanzageneraledellavoro@pec.it

venerdì 27 novembre 2015

IL VANGELO SECONDO GIULIANO (CHE HA RAGIONE)

AGL: Bravo Ministro. Presa di posizione chiara e netta. Era ora che fosse detta la verità. Nulla a che vedere con Monti e la Fornero che avevano semplicemente insultato i giovani. Qui il Ministro indica una alternativa, un diverso criterio di giudizio. Anche la laurea non è indispensabile, non lo sono i bei voti. Conta ciò che uno sa e sa fare. Dovrebbero capirlo quei giovani del Meridione che ricevono un falso aiuto con voti superiori alle medie del nord Italia. Falso perchè può servire per superare i concorsi (ecco perchè la dirigenza pubblica è in gran parte meridionale) ma non per trovarsi bene, bensì frustrati nella vita (ed ecco uno dei motivi per i quali la PA italiana non funziona).L'ideale sarebbe abolire il valore legale del titolo di studio. Rendere elettive tante funzioni pubbliche e generalizzare lo Spoils-system. Significativo poi che tale punto di vista sia espresso da una persona proveniente da un'area culturale (la sinistra) che sui temi della scuola ha sempre sbagliato tutto. Forse è anche grazie a Poletti che la Scuola e l'Università italiana potranno emanciparsi: da assumifici e diplomifici, da pascoli per baroni e parentadi annessi a fattori di competitività e di messa in discussione di valori superati. E anche il Sud dovrebbe ringraziarlo.

 

Fonte: www.ansa.it

Poletti, 110 e lode a 28 anni non serve a un fico

Frase ministro scalda social. Finita idea lavoro in un posto solo

"Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21". Il ministro del lavoro Giuliano Poletti non ha usato perifrasi per dire come la pensa sui percorsi universitari dei giovani italiani. Incontrando gli studenti al salone 'Job&Orienta' della Fiera di Verona ha messo in chiaro che il mercato del lavoro non aspetta sempre chi si laurea a 30 anni.

E l'affermazione, che ha tra l'altro ricordato l'antipatico "choosy" (schizzinosi) con cui ministro Elsa Fornero aveva etichettato i ragazzi italiani, ha subito scatenato reazioni e polemiche sui social. "Lui aveva risolto così il problema: non s'è laureato" scrive qualcuno su Twitter. Ma c'e anche qualcun altro che ha difeso l'uscita a gamba tesa dell'ex presidente della Lega Coop - "È di moda insultare i potenti di turno, e spesso se lo meritano, ma penso che #Poletti abbia detto una cosa oggettivamente vera" dice un altro tweet. Perchè è meglio laurearsi con 97 a 21 anni? Perchè così, ha aggiunto Poletti, "un giovane dimostra che in tre anni ha bruciato tutto e voleva arrivare". "In Italia - ha sottolineato - abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo". "Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più - ha insistito il ministro - si butta via del tempo che vale molto molto di più di quel mezzo voto. Noi in Italia abbiamo in testa il voto, non serve a niente". Il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo; bisogna che rovesciamo radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura".

E a proposito di cambi culturali, Poletti, dialogando con gli studenti delle superiori, ha cercato di sfatare altri 'miti'. "La storia secondo cui per 20 anni si studia, per 30 anni si lavora e poi si va in pensione è una storia finita" ha detto. "La storia secondo cui c'è un posto dove si va a lavorare, la fabbrica, è finita. Il lavoro - ha concluso - non si fa in un posto: il lavoro è un'attività umana, si fa in mille posti".