Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro
venerdì 27 dicembre 2013
martedì 17 dicembre 2013
ALCOM-AGL (Lavoratori delle Comunicazioni) : MOBILITIAMOCI CONTRO IL TENTATIVO DI INTRODURRE LA WEB-TAX. DIFENDIAMO LA LIBERTA' E IL NOSTRO FUTURO!
L'ALCOM-AGL (Federazione dei lavoratori delle Comunicazioni) si schiera contro chi , nel governo e nel parlamento, sta tentando di introdurre la follia della Web-Tax. Si tratterebbe di un provvedimento gravissimo che inciderebbe in maniera letale sulle libertà e sulle possibilità di sviluppo del nostro Paese.
Riportiamo di seguito, per una completa illustrazione della complessa questione, un post tratto da http://www.byoblu.com a firma di Claudio Messora.
"""""""""Chiunque abbia fatto una guerra (e sia sopravvissuto), vi dirà che i conflitti sono i più grandi ascensori sociali. Chi era su finisce giù, e viceversa. Così è internet. Immaginate il mondo là fuori come una grande ragnatela di interessi e di equilibri: appena qualcosa si muove grossi aracnidi monopolisti, specializzati nel presidio di migliaia di filamenti, con i loro tentacoli chitinosi capaci di percepire impercettibili vibrazioni, avvolgono in un bozzolo vischioso ogni più piccolo tentativo di innovazione. Sono le lobby dell’informazione, dell’editoria, del commercio, immersi nei loro enormi gangli di potere che non sono disposti a cedere. Poco importa che così facendo paralizzino la società: l’importante è che i loro grossi ventri molli restino pingui e ben pasciuti. Poi arriva la rete, quella digitale. Informazioni, beni e servizi iniziano a transitare per vie impossibili da presidiare. Sono fatti di idee, sono comunicazione allo stato puro: nessuna barriera fisica li può fermare. Dove il mondo precedente era fatto di grandi pachidermi, di frontiere, di dazi, di proibizionismo, di censura e di poteri centrali, quello nuovo è agile come un esercito di acrobati, non ha confini se non quelli dell’immaginazione, è libero come le ali della fantasia, è impossibile da costringere in un pensiero unico ed è dominato da multiformi, cangianti concentrazioni di energie individuali, che si concentrano a realizzare un obiettivo e poi si disperdono facendo perdere ogni traccia di sé. Chiunque può costruire un ponte tra se stesso e gli altri, in una dimensione parallela rispetto a quella popolata da feroci sentinelle poste a guardia di privilegi indebiti, e farvi transitare idee originali e di successo che viaggiano alla velocità del pensiero, trasportando opportunità e trasformandole in economie reali. Internet è un ascensore sociale di incredibile potenza. Per questo va abbattuto. Così è iniziata la lunga e triste storia degli attacchi alla rete. L’Italia è all’avanguardia: è la Cina dell’ovest, con l’aggravante che è molto più oscurantista e medioevale. Nonostante studi approfonditi della Banca Mondiale, di Google, dell’Oecd, del Boston Consulting Group e di Confindustria Digitale dimostrino inequivocabilmente che una buona infrastruttura digitale consentirebbe di risparmiare non meno di 40 miliardi l’anno (con soli 10 miliardi di investimenti iniziali, secondo calcoli di Alcatel-Lucent confermati da consorterie cinesi), che a una crescita della penetrazione della banda larga tra il 13% e il 18% corrisponderebbero incrementi di Pil compresi tra il 3,3% e il 4,3% (di cui il 75% a vantaggio dell’industria tradizionale), e nonostante il McKinsey Global Institute dimostri che internet crea più posti di lavoro di quanti ne distrugge, il nostro Paese è tra gli ultimi per la qualità delle sue infrastrutture digitali, per il numero di cittadini connessi alla rete così come per la velocità di download (93°, dopo le Fiji) e di upload (143°, dopo il classico Trinidad e Tobago). La politica, essendo espressione delle lobby dell’editoria televisiva e temendo la diffusione di contenuti multimediali concorrenti non meno della diffusione della conoscenza e dell’informazione libera, ha non solo disincentivato nel passato l’evoluzione digitale della nostra economia, ma la ha proprio decisamente ostacolata grazie al non adeguamento delle normative e alla continua minaccia, spesso ma non sempre disinnescata grazie alla mobilitazione di blog e associazioni, di atti legislativi ostili. (vedi: “A cosa serve internet“).
Chi si illudeva che un governo di centro-sinistra, apparentemente “progressista”, avrebbe potuto invertire questa tendenza dando seguito alle direttive sull’adeguamento delle infrastrutture digitali emanate dall’Unione Europea (che fa testo solo quando impone austerity e tagli alla spesa pubblica), è oggi costretto a scendere dal proverbiale pero e constatare che contro la Rete poté di più il Partito Democratico che 20 anni di Forza Italia e Popolo delle Libertà messe insieme. Quello che il partito del rottamatore di Arcore è riuscito a fare in pochi mesi di legislatura contro le libertà digitali ha dell’incredibile. Vogliono gli Stati Uniti d’Europa, sono disposti a cedere qualunque tipo di sovranità pur di ottenerla, si stracciano le vesti quando un economista parla di una riappropriazione del sistema monetario o dell’imposizione di dazi verso i Brics, ma quando si tratta di internet sono più protezionisti di Ficthe e di List messi insieme. La Commissione Bilancio alla Camera ha approvato un emendamento di Edoardo Fanucci (Pd) alla Legge di Stabilità, sostenuto dal presidente della Commissione Francesco Boccia (Pd), che istituisce la cosiddetta Web Tax. Recita così: «i soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana». Cosa significa? Che d’ora in poi non potremo più acquistare merce o software o servizi di qualunque tipo da siti che non abbiano aperto una partita Iva italiana. Quello che non esiste da nessun’altra parte in Europa, da noi sta per diventare realtà. Da Amazon a Google a qualunque altra impresa anche piccola, magari operante dall’altra parte del globo: saremo tagliati fuori da tutto, perché è evidente che il servizio che sarà disponibile agli altri cittadini europei, fornito magari da una piccola società del Michigan, a noi sarà precluso, essendo nei fatti impossibile dall’estero espletare tutte le pratiche previste dalla burocrazia italiana per sobbarcarsi l’onere di una posizione fiscale nel Paese più tartassato e oberato di scartoffie amministrative del mondo civilizzato. Ed è ipotizzabile che anche i giganti del web, che trovano nell’Italia un mercato del tutto marginale, possano abbandonarlo a se stesso per concentrarsi su territori meno oscurantisti e più redditizi. Vero è che oggi i colossi digitali fatturano nei paesi fiscalmente più convenienti, come l’Irlanda, ma nell’era dell’integrazione politica a tutti i costi, vuoi vedere che l’unica soluzione che non si può trovare a livello comunitario è quella di un riequilibrio delle politiche fiscali? Ci crede così poco, Letta, all’Unione Europa alla quale sacrifica ogni politica nazionale diversa da quella digitale?
Ma la scure della Santa Inquisizione democratica non si ferma. Nel Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, il proverbiale “venerdì 13”, il governo delle ex larghe intese (“Tesoro, mi si sono ristrette le intese”) ha varato un decreto che sferza un altro micidiale colpo sui motori di ricerca e sulla stessa libertà di informazione. Sotto evidente dettatura delle morenti lobby dell’editoria cartacea, viene incredibilmente sancito che prima di “linkare, indicizzare, embeddare, aggregare” un contenuto giornalistico è necessario chiedere il permesso all’editore. Avete capito bene: la fine dei provider di ricerca che indicizzano le ultime notizie per poi rimandarvi eventualmente alla fonte (viene in mente Google News). Ora dovranno stringere accordi preventivi con gli editori, che si possono immaginare economicamente svantaggiosi. Ma se quel “linkare ed embeddare” evoca sinistri presagi che aleggiano sui blog, i quali si ritroveranno a domandarsi se possono ancora inserire collegamenti ipertestuali agli articoli dei giornali, o citarne stralci, senza dover essere costretti a firmare improbabili contratti con Rcs o con il Gruppo Editoriale l’Espresso, quell’”aggregare” evoca scenari esilaranti nei quali potrebbero diventare illegali in un colpo solo tutti i feed reader privi di autorizzazione e trasformare i vostri pc in tante pericolose rotative clandestine. Un ennesimo regalo all’editoria e un inesplicabile duro colpo allo sviluppo della cultura della circolazione delle informazioni, attuato per decreto e ancora una volta senza il coinvolgimento del dibattito parlamentare.
E senza alcun dibattito parlamentare si è consumato una vero e proprio sopruso, un atto autoritario, antidemocratico e probabilmente anche incostituzionale, perpetrato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che il 12 dicembre ha varato una delibera che non ha precedenti altrove nel mondo e che consegna la libertà di pensiero al suo antagonista storico, l’insieme dei gruppi di pressione che tutelano il copyright, eliminando con un colpo di spugna l’attribuzione del potere giudiziario ai magistrati e conferendolo agli avvocati delle lobby, i quali in presenza (a loro insindacabile giudizio) di “un’opera, o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d’autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica”, potranno segnalarla all’Agcom che nel giro di pochi giorni potrà ordinare agli internet provider di oscurarla o rimuoverla. Per chi si illudeva che anche il nostro Paese, un giorno, avrebbe visto la nascita di un principio sacrosanto come quello del Fair Use, in vigore altrove, che consente ai cittadini di diffondere stralci di opere protette dal diritto di autore al fine di realizzare un dibattito o di stimolare una discussione attinente, la delibera Agcom appena emanata rappresenta la fine di ogni speranza. Tutto, qualunque contenuto presente in rete, secondo le definizioni di cui sopra, potrà essere oggetto di rivendicazione da parte degli editori. Un video su internet che contiene alcuni spezzoni di un telegiornale o di un servizio giornalistico, una foto pubblicata su un blog, anche se modificata in senso umoristico, magari elaborata a comporre un fotomontaggio, uno stralcio di articolo tratto da un giornale, l’audio del saggio di pianoforte di vostra figlia nel quale l’editore dello spartito riconosce l’uso della diteggiatura da lui depositata, tutto potrà risultare in una segnalazione effettuata all’Agcom che potrà ordinare al vostro hosting provider, o magari a YouTube, di cancellare il vostro blog in tutto o in parte, così come il vostro video. E poiché il provider o il fornitore di servizi di condivisione che nel volgere di pochissimi giorni non dovesse ottemperare, si troverebbe a pagare una sanzione che può arrivare fino a 250mila euro, si può tranquillamente puntare sul rosso e scommettere sul fatto che le segnalazioni inoltrate dall’Agcom verranno immediatamente tradotte nella rimozione dei contenuti controversi, e magari nell’oscuramento di tutto il sito. Interi blog di informazione, pieni di citazioni, di clip multimediali e di composizioni fotografiche, potrebbero scomparire dal 1 di aprile, data di entrata in vigore della normativa. Scavalcando a volo d’uccello l’unico potere che secondo la Costituzione può limitare la libertà di espressione: la magistratura. E purtroppo non si tratterà di un pesce d’aprile. Ed è notizia dell’ultima ora che, in un documento confidenziale inviato al Governo italiano nientemeno che dal vicepresidente della Commissione Europea Maros Sefcovic, Commissario alle relazioni istituzionali, si chiede alle autorità italiane di chiarire in che modo intendono garantire la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini nell’applicazione del regolamento Agcom. (vedi: “Il web ha un mese e mezzo di vita“).
Come se non bastasse, sempre nell’ottica di agevolare lo sviluppo delle nuove tecnologie e la diffusione della cultura digitale, il decreto del Consiglio dei Ministri di venerdì scorso ha escluso l’editoria elettronica (i produttori di ebook) dalle incentivazioni per l’editoria. E ha già annunciato che la settimana prossima varerà un nuovo decreto che imporrà balzelli sugli smartphone, sui tablet e sui pc, per un ammontare complessivo che nel 2014 assommerà a cento milioni di euro. Anziché spingere l’Italia e gli italiani verso la modernità, nel doveroso tentativo di mettersi perlomeno in scia con il progresso tecnologico che sostiene i popoli degli altri paesi del mondo nella loro domanda di competitività, il “progressista” Enrico Letta assesta con il suo Governo i colpi più devastanti che la storia degli attacchi alla Rete in Italia ricordi, caratterizzandosi come uno degli alfieri delle lobby più cinico e spietato, e come uno dei nemici della conoscenza distribuita, dell’innovazione e della mobilità sociale che le nuove tecnologie consentono, più ostile e oscurantista. Quanto costerà tutto questo alla nostra economia, in termini di ritardo nello sviluppo e dunque in termini di ulteriore perdita di produttività, purtroppo, lo scopriranno ancora una volta i nostri figli.CLAUDIO MESSORA, 17/12/2013"""""""""
Riportiamo di seguito, per una completa illustrazione della complessa questione, un post tratto da http://www.byoblu.com a firma di Claudio Messora.
"""""""""Chiunque abbia fatto una guerra (e sia sopravvissuto), vi dirà che i conflitti sono i più grandi ascensori sociali. Chi era su finisce giù, e viceversa. Così è internet. Immaginate il mondo là fuori come una grande ragnatela di interessi e di equilibri: appena qualcosa si muove grossi aracnidi monopolisti, specializzati nel presidio di migliaia di filamenti, con i loro tentacoli chitinosi capaci di percepire impercettibili vibrazioni, avvolgono in un bozzolo vischioso ogni più piccolo tentativo di innovazione. Sono le lobby dell’informazione, dell’editoria, del commercio, immersi nei loro enormi gangli di potere che non sono disposti a cedere. Poco importa che così facendo paralizzino la società: l’importante è che i loro grossi ventri molli restino pingui e ben pasciuti. Poi arriva la rete, quella digitale. Informazioni, beni e servizi iniziano a transitare per vie impossibili da presidiare. Sono fatti di idee, sono comunicazione allo stato puro: nessuna barriera fisica li può fermare. Dove il mondo precedente era fatto di grandi pachidermi, di frontiere, di dazi, di proibizionismo, di censura e di poteri centrali, quello nuovo è agile come un esercito di acrobati, non ha confini se non quelli dell’immaginazione, è libero come le ali della fantasia, è impossibile da costringere in un pensiero unico ed è dominato da multiformi, cangianti concentrazioni di energie individuali, che si concentrano a realizzare un obiettivo e poi si disperdono facendo perdere ogni traccia di sé. Chiunque può costruire un ponte tra se stesso e gli altri, in una dimensione parallela rispetto a quella popolata da feroci sentinelle poste a guardia di privilegi indebiti, e farvi transitare idee originali e di successo che viaggiano alla velocità del pensiero, trasportando opportunità e trasformandole in economie reali. Internet è un ascensore sociale di incredibile potenza. Per questo va abbattuto. Così è iniziata la lunga e triste storia degli attacchi alla rete. L’Italia è all’avanguardia: è la Cina dell’ovest, con l’aggravante che è molto più oscurantista e medioevale. Nonostante studi approfonditi della Banca Mondiale, di Google, dell’Oecd, del Boston Consulting Group e di Confindustria Digitale dimostrino inequivocabilmente che una buona infrastruttura digitale consentirebbe di risparmiare non meno di 40 miliardi l’anno (con soli 10 miliardi di investimenti iniziali, secondo calcoli di Alcatel-Lucent confermati da consorterie cinesi), che a una crescita della penetrazione della banda larga tra il 13% e il 18% corrisponderebbero incrementi di Pil compresi tra il 3,3% e il 4,3% (di cui il 75% a vantaggio dell’industria tradizionale), e nonostante il McKinsey Global Institute dimostri che internet crea più posti di lavoro di quanti ne distrugge, il nostro Paese è tra gli ultimi per la qualità delle sue infrastrutture digitali, per il numero di cittadini connessi alla rete così come per la velocità di download (93°, dopo le Fiji) e di upload (143°, dopo il classico Trinidad e Tobago). La politica, essendo espressione delle lobby dell’editoria televisiva e temendo la diffusione di contenuti multimediali concorrenti non meno della diffusione della conoscenza e dell’informazione libera, ha non solo disincentivato nel passato l’evoluzione digitale della nostra economia, ma la ha proprio decisamente ostacolata grazie al non adeguamento delle normative e alla continua minaccia, spesso ma non sempre disinnescata grazie alla mobilitazione di blog e associazioni, di atti legislativi ostili. (vedi: “A cosa serve internet“).
Chi si illudeva che un governo di centro-sinistra, apparentemente “progressista”, avrebbe potuto invertire questa tendenza dando seguito alle direttive sull’adeguamento delle infrastrutture digitali emanate dall’Unione Europea (che fa testo solo quando impone austerity e tagli alla spesa pubblica), è oggi costretto a scendere dal proverbiale pero e constatare che contro la Rete poté di più il Partito Democratico che 20 anni di Forza Italia e Popolo delle Libertà messe insieme. Quello che il partito del rottamatore di Arcore è riuscito a fare in pochi mesi di legislatura contro le libertà digitali ha dell’incredibile. Vogliono gli Stati Uniti d’Europa, sono disposti a cedere qualunque tipo di sovranità pur di ottenerla, si stracciano le vesti quando un economista parla di una riappropriazione del sistema monetario o dell’imposizione di dazi verso i Brics, ma quando si tratta di internet sono più protezionisti di Ficthe e di List messi insieme. La Commissione Bilancio alla Camera ha approvato un emendamento di Edoardo Fanucci (Pd) alla Legge di Stabilità, sostenuto dal presidente della Commissione Francesco Boccia (Pd), che istituisce la cosiddetta Web Tax. Recita così: «i soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana». Cosa significa? Che d’ora in poi non potremo più acquistare merce o software o servizi di qualunque tipo da siti che non abbiano aperto una partita Iva italiana. Quello che non esiste da nessun’altra parte in Europa, da noi sta per diventare realtà. Da Amazon a Google a qualunque altra impresa anche piccola, magari operante dall’altra parte del globo: saremo tagliati fuori da tutto, perché è evidente che il servizio che sarà disponibile agli altri cittadini europei, fornito magari da una piccola società del Michigan, a noi sarà precluso, essendo nei fatti impossibile dall’estero espletare tutte le pratiche previste dalla burocrazia italiana per sobbarcarsi l’onere di una posizione fiscale nel Paese più tartassato e oberato di scartoffie amministrative del mondo civilizzato. Ed è ipotizzabile che anche i giganti del web, che trovano nell’Italia un mercato del tutto marginale, possano abbandonarlo a se stesso per concentrarsi su territori meno oscurantisti e più redditizi. Vero è che oggi i colossi digitali fatturano nei paesi fiscalmente più convenienti, come l’Irlanda, ma nell’era dell’integrazione politica a tutti i costi, vuoi vedere che l’unica soluzione che non si può trovare a livello comunitario è quella di un riequilibrio delle politiche fiscali? Ci crede così poco, Letta, all’Unione Europa alla quale sacrifica ogni politica nazionale diversa da quella digitale?
Ma la scure della Santa Inquisizione democratica non si ferma. Nel Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, il proverbiale “venerdì 13”, il governo delle ex larghe intese (“Tesoro, mi si sono ristrette le intese”) ha varato un decreto che sferza un altro micidiale colpo sui motori di ricerca e sulla stessa libertà di informazione. Sotto evidente dettatura delle morenti lobby dell’editoria cartacea, viene incredibilmente sancito che prima di “linkare, indicizzare, embeddare, aggregare” un contenuto giornalistico è necessario chiedere il permesso all’editore. Avete capito bene: la fine dei provider di ricerca che indicizzano le ultime notizie per poi rimandarvi eventualmente alla fonte (viene in mente Google News). Ora dovranno stringere accordi preventivi con gli editori, che si possono immaginare economicamente svantaggiosi. Ma se quel “linkare ed embeddare” evoca sinistri presagi che aleggiano sui blog, i quali si ritroveranno a domandarsi se possono ancora inserire collegamenti ipertestuali agli articoli dei giornali, o citarne stralci, senza dover essere costretti a firmare improbabili contratti con Rcs o con il Gruppo Editoriale l’Espresso, quell’”aggregare” evoca scenari esilaranti nei quali potrebbero diventare illegali in un colpo solo tutti i feed reader privi di autorizzazione e trasformare i vostri pc in tante pericolose rotative clandestine. Un ennesimo regalo all’editoria e un inesplicabile duro colpo allo sviluppo della cultura della circolazione delle informazioni, attuato per decreto e ancora una volta senza il coinvolgimento del dibattito parlamentare.
E senza alcun dibattito parlamentare si è consumato una vero e proprio sopruso, un atto autoritario, antidemocratico e probabilmente anche incostituzionale, perpetrato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che il 12 dicembre ha varato una delibera che non ha precedenti altrove nel mondo e che consegna la libertà di pensiero al suo antagonista storico, l’insieme dei gruppi di pressione che tutelano il copyright, eliminando con un colpo di spugna l’attribuzione del potere giudiziario ai magistrati e conferendolo agli avvocati delle lobby, i quali in presenza (a loro insindacabile giudizio) di “un’opera, o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d’autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica”, potranno segnalarla all’Agcom che nel giro di pochi giorni potrà ordinare agli internet provider di oscurarla o rimuoverla. Per chi si illudeva che anche il nostro Paese, un giorno, avrebbe visto la nascita di un principio sacrosanto come quello del Fair Use, in vigore altrove, che consente ai cittadini di diffondere stralci di opere protette dal diritto di autore al fine di realizzare un dibattito o di stimolare una discussione attinente, la delibera Agcom appena emanata rappresenta la fine di ogni speranza. Tutto, qualunque contenuto presente in rete, secondo le definizioni di cui sopra, potrà essere oggetto di rivendicazione da parte degli editori. Un video su internet che contiene alcuni spezzoni di un telegiornale o di un servizio giornalistico, una foto pubblicata su un blog, anche se modificata in senso umoristico, magari elaborata a comporre un fotomontaggio, uno stralcio di articolo tratto da un giornale, l’audio del saggio di pianoforte di vostra figlia nel quale l’editore dello spartito riconosce l’uso della diteggiatura da lui depositata, tutto potrà risultare in una segnalazione effettuata all’Agcom che potrà ordinare al vostro hosting provider, o magari a YouTube, di cancellare il vostro blog in tutto o in parte, così come il vostro video. E poiché il provider o il fornitore di servizi di condivisione che nel volgere di pochissimi giorni non dovesse ottemperare, si troverebbe a pagare una sanzione che può arrivare fino a 250mila euro, si può tranquillamente puntare sul rosso e scommettere sul fatto che le segnalazioni inoltrate dall’Agcom verranno immediatamente tradotte nella rimozione dei contenuti controversi, e magari nell’oscuramento di tutto il sito. Interi blog di informazione, pieni di citazioni, di clip multimediali e di composizioni fotografiche, potrebbero scomparire dal 1 di aprile, data di entrata in vigore della normativa. Scavalcando a volo d’uccello l’unico potere che secondo la Costituzione può limitare la libertà di espressione: la magistratura. E purtroppo non si tratterà di un pesce d’aprile. Ed è notizia dell’ultima ora che, in un documento confidenziale inviato al Governo italiano nientemeno che dal vicepresidente della Commissione Europea Maros Sefcovic, Commissario alle relazioni istituzionali, si chiede alle autorità italiane di chiarire in che modo intendono garantire la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini nell’applicazione del regolamento Agcom. (vedi: “Il web ha un mese e mezzo di vita“).
Come se non bastasse, sempre nell’ottica di agevolare lo sviluppo delle nuove tecnologie e la diffusione della cultura digitale, il decreto del Consiglio dei Ministri di venerdì scorso ha escluso l’editoria elettronica (i produttori di ebook) dalle incentivazioni per l’editoria. E ha già annunciato che la settimana prossima varerà un nuovo decreto che imporrà balzelli sugli smartphone, sui tablet e sui pc, per un ammontare complessivo che nel 2014 assommerà a cento milioni di euro. Anziché spingere l’Italia e gli italiani verso la modernità, nel doveroso tentativo di mettersi perlomeno in scia con il progresso tecnologico che sostiene i popoli degli altri paesi del mondo nella loro domanda di competitività, il “progressista” Enrico Letta assesta con il suo Governo i colpi più devastanti che la storia degli attacchi alla Rete in Italia ricordi, caratterizzandosi come uno degli alfieri delle lobby più cinico e spietato, e come uno dei nemici della conoscenza distribuita, dell’innovazione e della mobilità sociale che le nuove tecnologie consentono, più ostile e oscurantista. Quanto costerà tutto questo alla nostra economia, in termini di ritardo nello sviluppo e dunque in termini di ulteriore perdita di produttività, purtroppo, lo scopriranno ancora una volta i nostri figli.CLAUDIO MESSORA, 17/12/2013"""""""""
mercoledì 4 dicembre 2013
7 LAVORATORI CINESI MORTI: I MAGISTRATI: “4 INDAGATI CINESI,PER ORA, MA LE INDAGINI POTREBBERO ALLARGARSI AD ALTRI SOGGETTI...”. SPERIAMO!
(foto da www.ansa.it)
GIOVANNINI (Ministro del Lavoro): "MAI
PIU' SIMILI EPISODI" -"Simili episodi non possono e non
debbono ripetersi". Lo ha detto oggi il ministro del
Lavoro Enrico Giovannini, rifererendo alla Camera
sulla strage di Prato . Purtroppo è un'ulteriore dimostrazione delle
conseguenze di condotte volte a negare tutele legali ai lavoratori".
"Non si può abbassare la guardia nell'opera di prevenzione e
controllo sulla normativa di settore". A Prato, ha aggiunto il
ministro, che è "un importante distretto tessile", risulta
difficile "l'operazione di controllo e prevenzione".
Giovannini ha poi spiegato che c'è una "programmazione a
cadenza settimanale di interventi mirati e coordinati con gruppo
interforze". Resta comunque una "condizione di
insostenibile e illegale sfruttamento".
29 NOVEMBRE 2013: ECCO QUANTO AVEVA
APPENA RESO NOTO IL MINISTERO DEL LAVORO (NON SI CAPISCE BENE
RELATIVAMENTE A QUALE PIANETA) :
“Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali
Ufficio Stampa
Lavoro, irregolari metà delle aziende
ispezionate, in aumento lavoro nero, finte collaborazioni e partite
IVA
Lavoro irregolare sotto la lente degli ispettori. Il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali comunica i risultati
del l'attività di vigilanza sulla mancata applicazione delle norme
previdenziali e della prevenzione e sicurezza del lavoro.
Nel periodo gennaio-settembre 2013 sono state
ispezionate 101.912 aziende, in lieve aumento (0,1%) rispetto allo
stesso periodo nell'anno precedente; in 56.003 aziende, pari al 55%
di quelle controllate, sono stare riscontrate delle irregolarità. La
costanza del numero delle aziende ispezionate scaturisce da una
specifica strategia del Ministero, mirata a concentrare le verifiche
verso obiettivi significativi in relazione a fenomeni irregolari di
rilevanza sociale: lavoro nero, tutela dei minori, sfruttamento
extracomunitari clandestini, elusione contributiva e sicurezza sul
lavoro.
Le ispezioni hanno consentito di verificare 202.379
posizioni lavorative (in diminuzione del 29,3% rispetto a
gennaio-settembre 2012) con l'individuazione di 91.109 lavoratori
irregolari, di cui 32.548 totalmente in nero (pari al 36% dei
lavoratori irregolari, con un aumento di 5 punti percentuali rispetto
allo scorso anno). In 439 casi è stata riscontrata una violazione
penale per impiego di lavoratori minori, mentre è stato individuato
l'impiego di 816 lavoratori extracomunitari clandestini, circa il
2,5% dei lavoratori in nero, in lieve diminuzione rispetto allo
stesso periodo del 2012.
Il lavoro irregolare è diffuso in tutti i settori
di attività economica, tuttavia la quota del lavoro nero si annida
maggiormente in agricoltura (58% degli irregolari) e nell'edilizia
(43%).
Tutti gli altri fenomeni, quali ad esempio appalti
illeciti, l'uso non corretto del contratto di somministrazione (7.548
numero di lavoratori coinvolti) e le violazioni della disciplina in
materia di orario di lavoro (10.082 lavoratori) subiscono una decisa
riduzione.
Violazioni rispetto alle norme di prevenzione e
sicurezza del lavoro sono state riscontrate in 24.316 aziende, pari
al 25,8% delle aziende ispezionate, con una diminuzione di 5 punti
percentuali rispetto allo stesso periodo del 2012.
Infine, nonostante gli irrigidimenti previsti dalla
legge 92 del 2012, si riscontra un aumento del le "riqualificazioni"
dei rapporti di lavoro, che avvengono nel caso in cui l'ispettore
giudica diversamente un rapporto di lavoro, sia dipendente sia
autonomo, come nel caso delle collaborazioni a progetto non genuine e
delle false partite Iva. Le riqualificazioni nel periodo
gennaio-settembre 2013 sono complessivamente 14.520, corrispondenti a
circa il 26% dei lavoratori irregolari, con un aumento di 6 punti
percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Dal punto di vista finanziario, le sanzioni per le
irregolarità riscontrate ammontano complessivamente a 78,1 milioni
di euro, con una diminuzione di circa 13 milioni di euro (-14,2%)
rispetto all'anno precedente.
Si allega la tabella
dei dati
Roma 29 novembre 2013”
Domanda: visto che sono scattate le indagini,
gradiremmo sapere nome e cognome di chi sapeva e non ha adempiuto ai
suoi doveri di ufficio. E di chi, dall'alto, o non ha controllato se
determinate attività ispettive venivano svolte con la dovuta
incisività o si è adoperato, dati i rilevanti interessi economici
italiani alla presenza di queste realtà apparentemente solo cinesi,
affinchè veri controlli non venissero fatti.
E poi: in Italia gira la voce che quando viene
denunciato qualcosa che non va nei luoghi di lavoro è vero che le
ispezioni vengono disposte ma molte volte avvisando, da parte di
funzionari e dirigenti pubblici infedeli, i datori di lavoro
interessati con congruo anticipo in modo che possano salvarsi.
Domandiamo alle Forze dell'Ordine e alla
Magistratura: sono mai state fatte indagini e intercettazioni sulla
reale consistenza di questo fenomeno? E se si trattasse di una
pratica corrente, in quali reali condizioni di sicurezza opererebbero
milioni di lavoratori italiani e stranieri?
Se questi sono i risultati dell'attività di
vigilanza non sarebbe meglio che le relative funzioni venissero tolte
a chi non le sa esercitare da decenni e, nell'ambito di una spending
review, fossero affidate a soggetti più seri, ad esempio alle Forze
dell'Ordine, direttamente? Chiudendo rami della Pubblica
Amministrazione che da anni dimostrano di non servire a nulla
(ovviamente salvaguardando il posto di lavoro solo per coloro che
fino ad oggi vi hanno lavorato seriamente)?
E infine non sappiamo se chi di dovere in Italia
riuscirà a perseguire gli eventuali responsabili nostri connazionali
di questa sciagura ma se ciò avvenisse ci piacerebbe che venissero,
per scontare la pena, affidati , per una volta, alle Autorità
Cinesi......
AGL
AGL
martedì 3 dicembre 2013
COOPERATIVE: IL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETA LA FINE DELL'UNCI E DEL FONDO MUTUALISTICO PROMOCOOP
pubblicato sulla gazzetta ufficiale n.275 del 23 nov.2013
IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO Visto l'articolo 45, comma 1, della Costituzione; Visto il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577; Visto il decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale 18 luglio 1975, pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 211 dell'8 agosto 1975, con il quale l'Unione nazionale cooperative italiane (U.N.C.I.) e' stata riconosciuta quale associazione nazionale di rappresentanza assistenza e tutela del movimento cooperativo, ai sensi e per gli effetti degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947, e ne e' stato altresi' approvato il relativo statuto; Visti gli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 recante la riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, con i quali si attribuiscono al Ministero delle attivita' produttive le funzioni ed i compiti gia' di competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in materia di cooperazione; Visto il decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, ed in particolare l'articolo 1, comma 12, il quale dispone che la denominazione «Ministero dello sviluppo economico» sostituisce, ad ogni effetto e ovunque presente, la denominazione «Ministero delle attivita' produttive» in relazione alle funzioni gia' conferite a tale Dicastero; Visto l'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto; Visto l'articolo 3 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220 ed in particolare il comma 7, in forza del quale il Ministro delle attivita' produttive puo' revocare il riconoscimento alle Associazioni nazionali che non sono in grado di assolvere efficacemente le proprie funzioni di vigilanza sugli enti cooperativi associati; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 2008, n. 197, recante il regolamento di organizzazione del Ministero dello sviluppo economico; Vista la relazione del Direttore Generale per le piccole medie imprese e gli enti cooperativi, allegata alla nota prot. n. 121080 in data 17 luglio 2013, con la quale sono state segnalate perduranti problematiche ed inefficienze nell'attivita' di vigilanza dell'U.N.C.I. nei confronti delle cooperative associate, stante il persistere di una conflittualita' interna circa il soggetto titolato all'effettiva rappresentanza dell'associazione, manifestata dalla nomina di rappresentanti legali eletti in adunanze separate, indette di volta in volta da organi oggetto di contestazione, con deliberazioni impugnate in sede giurisdizionale che hanno determinato pronunce difformi e non definitive, rese in sede cautelare; Vista la relazione dei Sindaci dell'U.N.C.I. i quali nel mese di dicembre 2010 avevano segnalato un perdurante stato di immobilita' dell'attivita' amministrativa dell'Associazione di rappresentanza, a seguito del conflitto insorto in seno ai relativi organi statutari, il quale non consentiva un andamento ordinato della gestione amministrativa e associativa, con conseguente mancata approvazione del bilancio consuntivo 2009 e del bilancio preventivo 2010 nonche' delle quote associative per l'anno 2010, atti indispensabili per il corretto svolgimento della vita associativa; Viste le risultanze dell'attivita' di vigilanza svolta dal Ministero nei confronti dell'Associazione nell'anno 2011, che ha confermato irregolarita' gestionali consistenti nella mancata approvazione di bilanci, nelle intervenute modifiche statutarie in contrasto con le indicazioni ministeriali, nelle ricorrenti carenze nella redazione dei verbali di revisione da parte dei revisori incaricati dall'U.N.C.I.; Viste le diffide rivolte all'U.N.C.I. a disporre specifici correttivi nell'organizzazione dell'attivita' revisionale, da attuarsi mediante programmazione e realizzazione di attivita' formativa e di aggiornamento dei revisori, in esito alle quali sono pervenute risposte contrastanti dai diversi soggetti che rivendicavano, contemporaneamente ed in conflitto tra di loro, la titolarita' della qualita' di legale rappresentante dell'Associazione; Preso atto della corrispondenza intercorsa con la Prefettura di Roma - Ufficio territoriale del Governo, la quale attesta il perpetuarsi della situazione di forte conflitto, dovuto alle contrapposte richieste di iscrizione, quale rappresentante legale, nel registro prefettizio delle persone giuridiche, da parte di soggetti diversi, legittimati a seguito di successive pronunce, non definitive e non univoche, rese dal Tribunale Civile di Roma. In particolare, nel solo ultimo anno risulta che sulla base di successive assemblee congressuali e di distinti provvedimenti giudiziali la Prefettura di Roma ha proceduto ad iscrivere quale presidente legale rappresentante prima il Cav. Pasquale Amico, poi il Sig. Cosimo Mignogna, successivamente il Cav. Pasquale Amico e, da ultimo, in data 29 settembre 2013, il Sig. Cosimo Mignogna; Vista la nota del Sindacato FE.S.I.C.A., pervenuta in data 13 settembre 2012, con la quale si segnala al Ministero l'assenza di certezze circa l'effettiva titolarita' della rappresentanza legale dell'U.N.C.I., ribadita con successiva nota dello stesso Sindacato del 15 marzo 2013, con la quale si rinnova la richiesta di chiarimenti sul soggetto titolato a rappresentare l'Associazione in giudizio, nel procedimento di opposizione al licenziamento di dipendenti in servizio presso la sede nazionale di U.N.C.I.; Tenuto conto delle segnalazioni e richieste di chiarimenti rivolte al Ministero, provenienti da enti di natura pubblica e privata presso i quali l'U.N.C.I. ha designato propri rappresentanti, circa l'effettivita' della carica di rappresentante legale dell'Associazione medesima, stanti le contrastanti affermazioni provenienti da soggetti che assumono di essere titolati; Preso atto delle numerose pronunce rese dal Tribunale di Roma, dalle quali emerge un insanabile conflitto e la non univoca individuazione del rappresentante legale dell'U.N.C.I. ed in particolare: - ordinanza 27 aprile 2012, la quale rinvia alla inevitabile convocazione dell'assemblea degli associati l'adozione delle decisioni necessarie per risolvere le problematiche verificatesi e ripristinare un regolare sistema amministrativo; - ordinanza collegiale 19 giugno 2012 la quale riconosce la validita' della costituzione in giudizio dell'UNCI nella persona del rappresentante legale p.t. Pasquale Amico; - ordinanza 27 luglio 2012, giudice dott.ssa Buonocore, con la quale e' stato ingiunto al prof. Paolo Galligioni di "immettere Amico Pasquale, quale neo nominato presidente dell'U.N.C.I. nella disponibilita' della documentazione e dei beni di pertinenza della predetta associazione e di consentire allo stesso il libero accesso alla sede dell'Ente, per l'espletamento delle funzioni di pertinenza; astenersi dal compimento di atti ed attivita' riservate, per legge o per statuto, al Presidente dell'U.N.C.I. o ad altro diverso organo dell'Associazione; astenersi dalla spendita della qualita' di presidente dell'U.N.C.I. nei rapporti con gli associati ed i terzi"; - ordinanza 16 novembre 2012, giudice dott. Scerrato, con la quale e' stata rigettata l'istanza di sospensione della delibera congressuale del 24 marzo 2012 che ha eletto il Cav. Amico a Presidente dell'U.N.C.I., confermata con successiva ordinanza collegiale del 6 febbraio 2013; - ordinanza del 10 gennaio 2013, giudice dott.ssa Dell'Orfano, che ha dichiarato la piena regolarita' di tutti gli atti prodromici al congresso del 24 marzo 2012, riguardante l'elezione del Cav. Pasquale Amico quale presidente e legale rappresentante dell'U.N.C.I.; - sentenza n. 16217 dell'11 giugno 2013, depositata in data 22 luglio 2013, con la quale il Tribunale di Roma - III Sezione Civile, ha accertato che lo statuto dell'U.N.C.I. da applicare e' quello del 2000, dichiarando altresi' nulla la deliberazione del Consiglio Generale U.N.C.I. del 23 giugno 2010 con cui venne fissata la convocazione del Congresso nazionale straordinario dell'Associazione ed approvato il relativo regolamento congressuale. Sulla base di detto provvedimento giudiziale e del congresso straordinario del 15 luglio 2013, la Prefettura di Roma ha provveduto ad iscrivere nel registro delle persone giuridiche il signor Mignogna Cosimo quale presidente e legale rappresentante dell'U.N.C.I.; - ordinanza del Tribunale Civile di Roma, Sezione III, giudice dott.ssa Libri, del 29 luglio 2013 con la quale e' stata in via preliminare rilevata l'infondatezza della eccezione di difetto di legittimazione passiva dell'U.N.C.I., rappresentata dal Cav. Amico, sul presupposto della spettanza a costui della carica di presidente dell'U.N.C.I., a seguito dell'elezione del 24 marzo 2012; Vista la comunicazione dell'avvio del procedimento di revoca di cui alla nota prot. n. 145274 in data 6 settembre 2013; Valutate le argomentazioni formulate mediante deposito di documentazione prodotta nel corso della accordata audizione delle parti controinteressate svoltasi in data 18 settembre 2013; Vista la successiva nota prot. n. 161545 in data 3 ottobre 2013 con la quale l'Amministrazione ha comunicato la sospensione per trenta giorni, ai sensi dell'articolo 2, comma 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241 del termine finale del procedimento di revoca; Preso atto altresi' che, successivamente alla comunicazione del 3 ottobre 2013, inerente la sospensione del termine finale del procedimento di revoca, in data 18 ottobre 2013 veniva richiesto all'U.N.C.I. un aggiornamento di notizie circa l'attivita' di vigilanza svolta; Preso atto che nel corso del procedimento di verifica dei presupposti per la revoca, il Cav. Amico ha ribadito l'avvenuta assegnazione di 3.403 incarichi di revisione cooperativa nell'anno 2013, con la conclusione di solo 296 di essi, ed il Sig. Mignogna ha dichiarato di aver autonomamente disposto l'effettuazione di circa 1.500 revisioni cooperative dietro segnalazione degli uffici regionali dell'Associazione, restando dunque acclarata l'incertezza sulla individuazione della carica di presidente e di soggetto legittimato all'attribuzione degli incarichi di revisione; Ritenuto che la predetta incertezza sulla individuazione della carica di presidente e di soggetto legittimato all'attribuzione degli incarichi di revisione incide sul corretto svolgimento dell'attivita' revisionale con possibili ripercussioni sugli esiti della stessa; Valutate le dichiarazioni e le osservazioni che le due parti hanno reso negli incontri tenuti presso la Direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi, attraverso le quali e' stata ribadita da un lato l'impossibilita' di una soluzione stragiudiziale del perdurante conflitto, dall'altra la riproposizione dello sdoppiamento delle strutture sociali ed amministrative, fatti questi che rappresentano un evidente ostacolo alla corretta e serena gestione del rapporto associativo e revisionale con le cooperative aderenti; Considerato che tale perdurante incertezza nella titolarita' della "governance" associativa ostacola l'efficace svolgimento della attivita' revisionale nei confronti degli enti cooperativi associati e le relazioni con i soggetti istituzionali che hanno rapporti con l'U.N.C.I.; Preso atto che a causa della conflittualita' interna sono state fissate due distinte sedi sociali, ubicate in luoghi diversi, con conseguente indeterminatezza ai fini delle comunicazioni, notifiche e rapporti istituzionali; Considerato che la revoca del riconoscimento costituisce l'unico provvedimento previsto dalla legge come adottabile da parte della Amministrazione, in presenza di presupposti incidenti sullo svolgimento corretto ed efficiente della attivita' revisionale nei confronti delle societa' cooperative aderenti; Ritenuto che sussistono i presupposti di fatto e di diritto per l'adozione, ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 2 agosto 2002 n. 220, del provvedimento di revoca del riconoscimento dell'associazione U.N.C.I., atteso che la medesima Associazione non risulta essere piu' in grado di assolvere efficacemente alle funzioni di vigilanza sugli enti cooperativi associati, ad essa demandate; Considerato che il suddetto riconoscimento e' intervenuto con decreto ministeriale 18 luglio 1975, adottato ai sensi e per gli effetti degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, rilevando dunque sia ai fini della legittimazione allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza sia ai fini dell'acquisto della personalita' giuridica; Considerate le sopravvenute modifiche normative (articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto e articolo 3 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220) le quali circoscrivono il riconoscimento da parte di questo Ministero alla sola legittimazione allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza; Considerato che il presente provvedimento di revoca incide su di un riconoscimento, avvenuto in epoca antecedente alle suddette modifiche normative, che ha rivestito la duplice inscindibile valenza di legittimazione allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza e di acquisto della personalita' giuridica, e dunque deve valere per ogni effetto conseguente allo stesso riconoscimento; Visto l'articolo 11, comma 1, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, il quale prevede che le associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, riconosciute ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, e quelle riconosciute in base a leggi emanate da regioni a statuto speciale possono costituire fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, i quali possono essere gestiti senza scopo di lucro da societa' per azioni o da associazioni e sono alimentati ed incrementati ai sensi dei commi 4 e 5 del medesimo articolo 11; Considerato che l'U.N.C.I. ha costituito un fondo mutualistico gestito da Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione - Promocoop S.p.A.; Ritenuto di dover disporre circa gli aspetti conseguenziali alla revoca del riconoscimento dell'U.N.C.I.; Decreta Art. 1 1. Ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, e' revocato ad ogni effetto il riconoscimento dell'Unione nazionale cooperative italiane (U.N.C.I.), quale associazione nazionale di rappresentanza e tutela del movimento cooperativo, di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 18 luglio 1975, adottato ai sensi degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577. Art. 2 1. A far data dalla pubblicazione del presente decreto, l'U.N.C.I. non e' piu' legittimato a ricevere alcun versamento di cui all'articolo 8 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947, a titolo di contributo per l'attivita' revisionale da parte delle cooperative e degli enti mutualistici, quali individuati ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 220 del 2002. 2. A far data dalla suddetta pubblicazione, all'associazione U.N.C.I. e' fatto divieto di accettare versamenti relativi alle fattispecie di cui al comma 1, pena le responsabilita' configurabili alla stregua della normativa vigente. 3. Con successivo provvedimento saranno stabiliti criteri e modalita' per la definizione dei rapporti pendenti e per la individuazione delle risorse residue, acquisite per le attivita' revisionali, da versare al Bilancio entrata dello Stato, Capo XVIII, Capitolo 3592. Art. 3 1. A far data dalla pubblicazione del presente decreto, cessa la legittimazione della societa' Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione - Promocoop S.p.A., che gestisce il fondo mutualistico costituito dall'U.N.C.I. ai sensi dell'articolo 11 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, ad accettare versamenti e devoluzioni di cui al medesimo articolo 11, commi 4 e 5, rivenienti dalle societa' cooperative e dagli enti mutualistici quali individuati ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 220 del 2002. 2. A far data dalla suddetta pubblicazione, alla societa' Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione - Promocoop S.p.A. e' fatto divieto di accettare versamenti e devoluzioni relativi alle fattispecie di cui al comma 1, pena le responsabilita' configurabili alla stregua della normativa vigente. 3. Con successivo provvedimento saranno stabiliti criteri e modalita' per la definizione dei rapporti pendenti e per la individuazione delle risorse residue, acquisite per le finalita' di cui al citato articolo 11, da versare al Bilancio entrata dello Stato, Capo XVIII, Capitolo 3592. Il presente decreto sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Avverso il presente provvedimento e' ammesso, entro 60 giorni, ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ovvero, entro 120 giorni, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 1199 del 1971. Roma, 22 novembre 2013 Il Ministro: Zanonato
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